XIV

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- Sedete, ve ne prego. - 

La ragazza guardò l'altro con un leggero sorriso sulle labbra, quasi malizioso. Egli fece come lei desiderava, guardandola in viso, cercando di cogliere le sue intenzioni.
Ella raccolse la gonna, per potersi sedere cavalcioni sulle gambe dell'amato.
Fiordaliso scostò un riccio biondo dalla fronte del soldato, piegando di lato la testa. Gli occhi del giovane erano arrossati ed annacquati e, ad ulteriore prova di una giornata passata a bere, c'era la puzza di alcol che aveva impregnato la pelle del cavaliere. La ragazza arricciò il naso, disturbata da quell'odore sgradevole. Possibile che suo marito non si rendesse conto quando fermarsi o no? Alle volte le sembrava di avere a che fare con un bambino, se non fosse stato che quello che aveva davanti era il corpo di un uomo fatto e finito. Dunque lo spinse dolcemente, invitandolo a sdraiarsi sul letto. E Phoebus la lasciò fare, sfiorandole i fianchi, cercando di coordinare le mani per poterla svestire, per poter affondare le dita in quella giovane carne, come il leone avrebbe affondato i denti nella preda.
Fiordaliso aggrottò le sopracciglia sottili, per poi sospirare. Era evidente che il marito non riuscisse nemmeno a tenere gli occhi aperti. Evidentemente il vino nel suo corpo era davvero troppo perché il biondo potesse rimanere sveglio, così la giovane si limitò a scendere dal corpo di lui, stando in ginocchio sul letto, mentre egli si lasciava andare al sonno, senza potersi opporre. Di tanto in tanto biascicava qualcosa, per poi ridacchiare, allora le sue guance diventavano più rosse. Per quanto Fiordaliso lo trovasse bello, non riusciva più a sopportare quel comportamento, quei capricci, quei vizi che lui soddisfaceva ogni volta. Ella si passò la lingua sulle labbra, affranta.

- Mio Phoebus... - 

Sussurrò, inclinando la testa di lato, osservando il petto dell'altro alzarsi ed abbassarsi placidamente.
La ragazza si alzò, persa ormai ogni speranza. Non pensava di chiedere molto, solo di essere amata, che preferisse lei a qualche altra donna di qualsiasi bordello di Parigi, che la preferisse, magari, ad un boccale di vino, ma da quando era comparsa quella Esmeralda, la zingara, le cose erano peggiorate. Fiordaliso aveva sperato che con la morte della gitana - successivamente con la sua scomparsa - le cose potessero sistemarsi, ma il soldato era piombato in un abisso ancor più profondo, così assorto da quel quadernetto che sempre si portava dietro.
Il visetto angelico di Fiordaliso si illuminò, proprio mentre stava per uscire dalla camera da letto. Si mordicchiò un unghia, volgendosi nuovamente verso il marito, che russava pesantemente.

- Forse... - 

Ella, con passo leggero, si avvicinò nuovamente al soldato, cercando con gli occhi la bisaccia che doveva tenere legata in vita. Difatti la trovò, nascosta sotto un lembo del mantello. Fiordaliso esitò qualche secondo, per poi fare come aveva deciso. Non c'era tempo per ripensamenti o indugi, altrimenti Phoebus avrebbe potuto svegliarsi e sorprenderla proprio mentre gli sottraeva quel maledettissimo oggetto.
Prima di allora non avrebbe mai immaginato di avere un tocco così leggero, tocco che le permise di prendere il piccolo quaderno ed uscire dalla stanza con esso, senza fare alcun rumore. Il fatto era, cercò di giustificarsi con sé stessa, che lei rivoleva il suo Phoebus, rivoleva indietro quel bambino che non aveva avuto occhi che per lei, che di tanto in tanto le portava a casa qualche fiore, che le accarezzava i capelli; dunque si disse che un piccolo peccato, alla fin fine, non avrebbe fatto male a nessuno: era a fin di bene. Certo, il capitano non era mai stato particolarmente fedele, eppure prima non era ossessionato da nulla, mentre ora la sua mente era occupata dalla zingara e da quell'oggetto.
La giovane si fermò davanti al camino, sfiorandone rigirandosi tra le mani quei fogli, raccolti da una sottile copertina in pelle nera. Si soffermò anche ad osservare qualche parola, attratta dalla calligrafia raffinata e voluttuosa.
Scosse poi la testa, gettando il tutto nel fuoco. Subito la carta prese a crepitare, la pelle ad accartocciarsi. Fiordaliso osservò quella scena quasi con disgusto, come se tra le fiamme avesse gettato il suo peggior nemico e non semplici parole scritte. Forse, si disse, con la dipartita di quell'oggetto, il suo Phoebus avrebbe ripreso a prestarle quelle attenzioni che le spettavano di diritto, quelle attenzioni rudi che lei tanto amava.
Ella si passò la lingua sulle labbra, sedendosi vicino alla finestra che dava sul cortile interno, così da poter godere della luce che vi entrava direttamente. Dunque si mise a ricamare un fazzoletto, uno dei tanti, come se nulla fosse accaduto, perché, dopotutto, nulla era davvero successo. Se non ci sono occhi a vedere, orecchie a sentire, allora nulla succede per davvero. Nessuno l'aveva veduta o sentita compiere quel gesto, ergo lei non aveva fatto nulla.
La giovane sorrise, fiera del proprio operato, ignara di aver così vanificato gli sforzi del marito e aver graziato la vita del prete e della zingara, almeno per il momento.
Fu solo più tardi, quando ormai le prime stelle cominciavano a comparire in cielo e questo a tingersi di sfumature scurissime, che Phoebus arrivò nella sala, dove la ragazza aveva preso a leggere, questa volta vicino al camino.

- Dove è?! - 

Si Vis Amari, AmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora