Degli inconvenienti del seguire, di sera, una bella donna per le vie

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Esmeralda aveva deciso di correre subito da don Claude, quel pomeriggio. Era molto emozionata all'idea di poterlo vedere di nuovo e, cosa ancor più bella, di potersi perdere ancora in quelle mirabolanti avventure di Lancillotto, Artù e Ginevra; come aveva pianto alla morte della povera Isotta e del giovane Tristano, e che dire del triste destino del Re Pescatore? Ed il Santo Graal, che non si voleva far trovare? La sua voglia di conoscere era stimolata, al pensiero di poter nuovamente immergersi in quel mondo fatato della terra aldilà del mare, nonostante, come le aveva detto don Claude, il romanzo fosse stato scritto in Bretagna. Non era mai stata in Bretagna in tutta la sua vita, ma, ora che la sapeva terra natia di quegli eroi che tanto la affascinavano, le sarebbe piaciuto andarci, prima di tornare a casa sua; il solo ripensare all'Andalusia le fece rallentare il passo, il suo visino da bimba si fece scuro, triste, quasi pensoso nel brusio delle vie parigine del tardo pomeriggio.
Ricordò vagamente quelle musiche eccitanti, esotiche, ritmate da quei tamburi così strani che lei nemmeno riusciva a dar loro un nome, quelle canzoni iberiche suonate con una semplice chitarra o una ghironda, quelle ballerine che le avevano insegnato tutto ciò che sapevano; soffocò una risatina nel ricordare quanto si era emozionata quando era riuscita, per la prima volta, a scivolare in una elegante spaccata laterale e quanto fosse stata felice quando le altre zingare l'avevano applaudita. Aveva solo sei anni all'epoca, e quella per lei era una vera conquista; erano passati dieci anni da allora, e i suoi obbiettivi erano leggermente cambiati.

<<Vieni, Djali.>> sorrise la zingara nel rivolgersi alla sua amica capretta  <<Vorrei presentarti a don Claude. Sai, gli ho parlato molto di te.>>
La bestiolina belò allegramente a quelle parole, la sua codina bianca prese ad agitarsi nell'aria, i suoi piccoli zoccoli batterono forte sul selciato; la zingarella ridacchiò, per poi spalancare le braccia verso l'amica, che non attese oltre a saltarle in braccio. Felice, la ragazza raggiunse allora la cattedrale,ma fu sorpresa quando trovò inutile entrarvi per cercare don Claude; egli, infatti, era proprio sul sagrato, a pochi metri da lei, intento a discutere con un soldato dall'armatura lucente; pur sapendo di star facendo una cosa sbagliata, la giovane si nascose e, con le orecchie tese, si mise ad ascoltare la conversazione. Dove aveva già visto quel soldato, comunque..?

<<Un gran bell'affare!>> commentò il soldato, senza in realtà parer avere un contesto a cui attribuire quella frase <<Ed io e la mia cara cugina volevamo domandarvi se poteste essere voi colui che celebrerà le nozze.>>

Dal viso che don Claude aveva, era ben evidente che fosse seccato da quell'uomo che, probabilmente, lo aveva fermato prima che potesse entrare, vista la poca distanza dalle scale della cattedrale; lo vide sospirare pesantemente, grattarsi leggermente la ruga tra le due sopracciglia; non poté trattenere un sorriso, arrossendo nel ripensare a quante volte lo avesse fatto mentre lei leggeva e lui si arrovellava il cervello con quelle strane carte e boccette.
<<Credo che sarà un piacere per me.>> rispose in fretta il prete <<A quando le nozze?>>
<<Tre mesi, eccellenza.>>
<<Tre mesi ... dovrebbe essere fattibile.>>
<<Molto bene. Vi ringrazio davvero! Allora arrivederci, e buona giornata!>>
<<Sì... anche a voi...>> borbottò l'arcidiacono prima di dargli la schiena, annoiato, e dirigersi verso la scalinata della cattedrale. Non appena vide il soldato andarsene, Esmeralda scattò in direzione del prete, gli afferrò un braccio per fermarlo; egli voltò il capo, sorpreso e al tempo stesso irritato da quel gesto o, almeno, questo fu quello che pensò la ragazzetta nel vedere quelle folte sopracciglia nere aggrottarsi. Ma non appena vide chi aveva di fronte, l'arcidiacono si aprì in un rilassato sorriso: <<Oh, sei tu!>> esclamò, tremendamente sollevato. La zingarella annuì, sorridendo a sua volta; dunque, lo studiò per qualche istante, in silenzio: com'era bello. Sotto quella luce, simile a quella di una giornata ormai quasi alla sua fine, riusciva a vedere ogni suo piccolo tratto, come ad esempio quegli zigomi leggermente segnati, e quella poca barbetta che ricominciava a crescergli sulle guance; arrossì nel notarla, ed ebbe la tentazione di allungare la mano e sfiorarla per sentirne il pizzicore: da piccola aveva adorato farlo con suo fratello Clopin. Imbarazzata, ma pur sempre non intimorita del tutto, lasciò il suo sguardo errare lungo tutta la persona del prete, alto circa venti centimetri più di lei, e fu così che si accorse di quanto fossero larghe le sue spalle e di quanto lo fosse anche il suo petto; fu strano per lei immaginarsi d'appoggiarvisi ed addormentarvisi sopra come una bambina, ma da un lato tentò di autogiustificarsi dicendosi che, di solito, per una figlia era normale desiderare simili cose dal padre. Perché ormai, per lei, Frollo era diventato un secondo papà, qualcosa di così speciale che nemmeno Clopin riusciva ad eguagliare; l'affetto per quell'uomo era sempre più forte, in lei, e le riusciva impossibile comprendere perché nessuno si fosse accorto di quanto fosse adorabile una volta superata la fredda maschera di ecclesiastico. Lasciando errare i suoi occhioni neri, poté anche notare una strana borsa tra le sue mani, sollevò lo sguardo per -OH!- che cosa voleva fare? Guardarlo negli occhi? No, no, era pazza! Non ci sarebbe mai riuscita, questo lo sapeva benissimo. Quegli occhi erano troppo forti per lei, la tranciavano in due anche quando tentavano di essere il più dolci possibile con lei, e quando se ne rendeva conto, si sentiva in colpa, poiché non riusciva a sostenerne lo sguardo; si schiarì la voce, strinse a sé la capretta e socchiuse le labbra carnose per parlare: <<Che cosa tenete in quella borsa?>> domandò. Il prete abbassò lo sguardo, come se, per lunghi attimi, si fosse persino dimenticato di avere qualcosa in mano; poi ridacchiò tra sé e sé, alzò il capo per guardarla in viso: <<Qualcosa per te.>>
<<Per me?>>
All'annuire di lui, il rossore divenne padrone assoluto del viso della giovane, che lanciò un'occhiatina sbalordita alla piccola Djali, la quale, a malapena conscia di ciò che stava accadendo, belò.
<<Oh, lei deve essere Djali, non è così?>> chiese allora il prete, prima di grattare dolcemente il musetto della capretta <<Mi ricordo di lei.>>
Al tocco di lui, la bestiolina parve quasi desiderare rotolarsi e farsi grattare sulla pancia, poiché si divincolò leggermente tra le braccia di Esmeralda; socchiuse gli occhietti vispi, belò felice mentre la codina si scuoteva a scatti. La ragazza fece un risolino: <<Anche lei si ricorda di voi, monsignore.>> commentò nel vedere la reazione dell'amichetta <<O non si lascerebbe toccare.>>
<<È una brava bestiola.>> sorrise lui <<Ma ora, vogliamo entrare? È piuttosto tardi, e non vorrei che poi dovessi tornare a casa da sola.>>
<<Che cosa c'è nella borsa?>> chiese ancora la ragazzina ignorando completamente le sue frasi. Il prete scoppiò a ridere: <<Sei curiosa?>> fece mentre apriva il portone della chiesa per permetterle d'entrare; non appena lei fu dentro, lui la seguì e richiuse l'entrata alle sue spalle. La ragazza annuì, prese a saltellare sul posto: <<Sì! Che cos'è? Un libro nuovo? O quello stilo che volevate prendermi?>>
<<Nulla di tutto questo.>> rispose lui <<Vieni con me.>>

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