Febbre

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Una risata leggera sfuggì al capitano, che incrociò le braccia sul petto nel vedere la ragazzina così furiosa: <<Oh, vedo che non vi siete dimenticata di me, piccina.>> sghignazzò, accentuando volutamente l'ultima parola, sibilante e perfido quanto una vipera. Gli occhi della Esmeralda si fecero stretti, più simili a due fessure che ad altro, la furia contenuta a fatica nelle sue parole: <<Non chiamatemi piccina...>> rispose, stridendo come un violino scordato nel trattenersi dal corrergli incontro e picchiarlo a sangue.
All'improvviso, tutto si faceva più chiaro; ecco perché i soldati erano venuti a conoscenza della locazione della Corte! Phoebus l'aveva rivelata, come se gli fosse stato dovuto un movimento del genere; la motivazione,poi, era ovvia: uno zingaro lo aveva accoltellato, dunque non bastava uccidere lui,no. Bisognava sterminarli, annullarli, deportarli, annientarli tutti. Nonostante fossero innocenti.
Un fuoco maligno le bruciò le vene, aggrottò ancora di più le sopracciglia; come era stata stupida! Aveva creduto che, dopo la storia di Clopin, la faccenda sarebbe finita, e Phoebus sarebbe scomparso dalla sua vita, insieme a quella brutta avventura, trasformandosi in ricordo; si sbagliava. Il capitano si distaccò dal suo gruppetto di seguaci, si avvicinò lentamente alla ragazza: <<E dire che una volta vi piaceva essere chiamata così.>> disse con un sorrisetto prima di accarezzarle il viso con le dita. Lei scostò quella mano in malo modo: <<Non toccatemi.>> sussurrò seccata. Il soldato lanciò uno sguardo ricolmo di scherno ai suoi compari, ridacchiando con sarcasmo: <<Oooh,>> cominciò <<La farfalla si tramuta in vespa!>>
<<Che cosa volete?!>> lo richiamò la giovane, sempre più innervosita <<Non vi è bastato uccidere mio fratello Clopin?>>
<<Non l'ho ucciso io.>>
<<Ma voi l'avete fatto condannare.>>
<<Mi aveva accoltellato.>>
<<Era innocente!>>
<<E allora perché non vi siete fatta avanti per salvarlo?>> sbottò il capitano, spingendola, almeno psicologicamente, in un angolo. Lei ammutolì a quella risposta, la sua arroganza e rabbia si spensero come una fiammata investita da un secchio d'acqua; si strinse la gonna con forza, nel vano tentativo di reprimere le parole che le risuonavano nelle orecchie e nella mente da quando le era stata rivolta quella provocazione. Chinò il capo, si morse il labbro inferiore; non poteva dire la verità. Non poteva incolpare l'arcidiacono; certo, era stato lui, ma dentro di sé, la ragazza sapeva che, se avesse pronunciato il suo nome, l'avrebbe condannato alla morte. E lei, lei non voleva che morisse.
Una mano le afferrò saldamente il mento, la costrinse a sollevare lo sguardo, per farle puntare i suoi occhioni neri sul viso, così bello, del soldato: <<Credo di sapere che cosa vorreste dire, Esmeralda...>> fece con strafottenza, senza scostare i suoi occhi di ghiaccio da lei <<L'avete fatto per proteggere l'arcidiacono...>>
<<NO!>> urlò terrorizzata la piccola, il cuore le sussultò nel petto; come faceva a saperlo? Com'era possibile che fosse a conoscenza del segreto più grande di quella notte a "Le Pomme d'Eve"? Sbiancò nel rendersi conto che non avrebbe potuto fare niente per evitare la condanna del prete, nemmeno spacciandosi per l'assassina; Phoebus non le avrebbe creduto, lo sapeva benissimo. Un moto di rabbia la scosse; le era sembrato così bello, tempo prima, così dolce e comprensivo, e ora, a guardarlo, non faceva altro che sperare di vederlo sprofondare nelle viscere della Terra, per poi saltare sulla cicatrice che si sarebbe formata nel terreno dopo il suo assorbimento. Come poteva una creatura così affascinante essere al tempo stesso così spietata? Phoebus sorrise, di quel suo sorriso soddisfatto che lei avrebbe solamente desiderato strappargli dal viso; fece un rapido cenno ai soldati, che si divisero in due gruppi: uno cominciò a pattugliare le strade attorno alla Corte, l'altro accerchiò Pierre Gringoire, che venne rapidamente ammanettato.
<<Lui non c'entra nulla!>> sbottò Esmeralda rivolgendosi ai soldati <<Lasciatelo stare!>>
<<Se si trova qui, c'entra eccome, piccina.>> sogghignò il capitano prima di cingerle la vita con le braccia, cosa che lei non apprezzò molto. Tentò di dimenarsi, ma più si muoveva, più le dita dell'uomo mordevano i suoi fianchi, facendole male; Phoebus attese che i soldati si allontanassero, per poi costringere la ragazza a voltarsi di scatto, per vederla in viso; la squadrò dall'alto in basso, una strana luce gli bruciava negli occhi, uno scintillio che fece percorrere la schiena della piccola da orrendi brividi: <<N-no ... vi prego...>> mormorò ella, mentre lo scopo del soldato si faceva tremendamente evidente nella sua mente.
<<Piccina...>> sghignazzò malizioso lui <<... mi vorrete perdonare, ma ho proprio l'intenzione di riprendere da dove ci siamo interrotti a "Le Pomme d'Eve"...>>
<<No! Statemi lontano!>> sbraitò Esmeralda premendo le mani contro il petto di lui, spingendo con forza nella speranza di riuscire a liberarsi dalle forzute braccia del giovane. Ma la potenza di lui pareva ora sopraffarla, senza quasi darle la possibilità di respirare; le mani dell'uomo la circondavano, la toccavano là dove forse non sarebbero dovute andare, la accarezzavano, la stringevano, e, al tempo stesso, come se si fosse trattato di un polpo ad otto braccia, riuscivano a slacciare il corpetto della ragazza, essendo persino in grado di impedirle di muoversi. La morsa si fece ancora più forte, la piccola si sentì persa nelle spire di un boa, le labbra del capitano si premettero contro la pelle ambrata del suo collo, lei prese a dimenarsi ancora di più: <<Lasciatemi!>> gridò con voce incrinata, ormai sull'orlo del pianto. Come era stata cieca...! Perché non aveva visto subito questo lato malvagio di Phoebus? Si ricordava ancora il discorso che Clopin le aveva fatto al Jour d'Amour, subito dopo la sua esibizione, nei confronti dell'arcidiacono. Oh, ma come si erano sbagliati entrambi! Don Claude non l'avrebbe mai forzata, non l'avrebbe mai toccata senza permesso, come stava facendo quel capitano che lei, povera ingenua, aveva continuato a considerare migliore del prete. Migliore di don Claude? Oh, non c'era nessuno migliore di lui. Smise di dimenarsi, le lacrime uscivano a frotte dalle sue iridi nere, il cuore batteva fortissimo; si arrese. Non aveva alcuna chance di fuggire, nessuno l'avrebbe potuta aiutare; se fosse restata alla cattedrale, oh, tutto quello non sarebbe mai accaduto.
Un belato nervoso la distolse dalla sua disperazione, e, ancora prima che potesse batter ciglio, un forte clangore le raggiunse le orecchie; le braccia del soldato la lasciarono, la ragazza si sbilanciò e cadde a terra, sorpresa. Non le ci volle molto, però, a notare, a pochi passi da loro, la piccola Djali, la sua cara capretta, grattare lo zoccolo posteriore destro per terra, pronta alla carica: era chiaro che fosse stata lei a colpire il capitano per poterla aiutare.
<<Per il ventre del Papa..!>> sibilò Phoebus massaggiandosi la schiena, per poi voltarsi ed individuare la capretta; fece per acciuffarla, ma la bestiolina fu più rapida di lui; prese la rincorsa e -KLANG!-, lo colpì dritto nello stomaco con i suoi cornetti dorati. Non appena Phoebus crollò a terra, la giovane scattò in piedi, e, senza pensarci due volte, prese a correre, cogliendo l'occasione di fuggire.

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