<<ARGH!>>un urlo atroce scivolò fuori dalle labbra del capitano, mentre il sangue gli colava sulla bella casacca bianca. Esmeralda rimase immobile sotto di lui, confusa quanto,in parte, sollevata; lo scostò leggermente, per vedere un coltello scintillante conficcato nella schiena dell'uomo, si trattenne dall'urlare e si guardò attorno, alla ricerca del colpevole: e fu allora che lo vide. Fermo,poco distante dalla finestra davanti alla porta, una delle due che lei aveva notato nell'attesa, quella che dava sul fiume, con gli occhi sgranati dal terrore, con la mano destra sporca del sangue del capitano; rimase bloccata a guardarlo, senza davvero sapere cosa fare. All'improvviso, in quella stanza non c'era nulla, nemmeno il corpo tremante del capitano, c'erano solamente loro due, i loro sguardi erano incatenati l'uno all'altro, una febbrile sensazione scuoteva entrambi nel profondo, impedendo loro di agire logicamente; Esmeralda fu la prima a rendersi conto di ciò che fosse successo, e si risvegliò dall'incanto.
<<Voi.>> sibilò ferocemente, con l'aria d'una gatta a cui vengono sottratti i cuccioli <<Voi!>>
Il prete non rispose. Si precipitò verso di lei, le prese il viso tra le mani e la baciò, le sue labbra roventi contro quelle raffreddate della zingarella; lei lo spinse via. Lo osservò per qualche istante; perché l'aveva fatto? Il desiderio l'aveva spinto a quel punto? Rimase ipnotizzata da quei grandi occhi nocciola, finalmente poté rivederli scintillare davanti a lei, come in quelle lunghe giornate passate alla cattedrale, le lacrime le rigarono le guance; poteva vederlo, toccarlo, le stava davanti. L'aveva baciata. Al rendersene conto, la piccola alzò un braccio, gli diede un sonoro schiaffo, pentendosene subito dopo; ritrasse la mano, sollevò rapidamente il corpetto per coprirsi alla meglio il busto scoperto, all'improvviso a disagio davanti a lui. Il prete indietreggiò lentamente, per poi voltarsi verso la finestra e gettarsene fuori, svanendo alla vista della piccina.
<<NO!>> urlò prima di alzarsi e correre ad affacciarsi alla finestra; ma quando i suoi occhi poterono abituarsi leggermente alla luce lattiginosa della luna, poté intuire una figura nuotare rapidamente lontano, seguendo la corrente della Senna. La piccina si voltò verso la stanza, il capitano sanguinante ed inerme giaceva sul letto, respirando affannosamente, gli occhi fissi su di lei; la ragazza respirò a fondo, gli lanciò un'occhiata ricolma di pietà, ma non si avvicinò per aiutarlo, no. Anzi. Prese una leggera rincorsa e, con un piccolo urletto, si tuffò a sua volta nella Senna, pur non sapendo nuotare bene. Affannosamente, prese a zampettare là dove ancora riusciva a toccare, nella speranza di raggiungere la riva, ma la corrente era troppo forte, e le acque gelide del fiume in inverno la facevano raggelare, impedendole di muoversi al meglio; la forza dell'acqua la spinse lontana dalla riva, dirigendosi verso il cuore di Parigi, rapida e silenziosa come un topo. Esmeralda agitava in fretta le braccia, nel tentativo di riuscire a restare a galla e di poter trovare un appiglio a cui aggrapparsi, ma tutto era inutile; il largo corpetto non faceva altro che riempirsi d'acqua, trascinandola verso le profondità della Senna, impedendole persino di prendere fiato prima di finire sott'acqua. Pensò di urlare, ma si disse che, se lo avesse fatto, avrebbe solamente permesso all'acqua di scivolarle in bocca, e, di conseguenza, l'avrebbe annegata prima. Scoppiò in un silenzioso e nascosto pianto, il freddo l'avvolgeva sempre di più, impedendole quasi di respirare, cominciò a credere che, se non fosse uscita al più presto, sarebbe morta; nuovamente tentò di trovare un qualcosa da afferrare che avrebbe potuto aiutarla, ma fu inutile, la riva era vuota, e nessun albero o cespuglio costeggiava le anse della Senna. Intorpidita, la piccola smise di lottare contro la corrente e le impetuose acque che scorrevano rapide attorno all'Île de la Cité, il cuore in gola; lentamente, si sentì trascinare giù, verso il letto del fiume, chiuse gli occhi mentre il blu notte del cielo si mischiava all'oscuro nero dell'acqua sotto la superficie. Si rivide bambina, a tre anni circa, a ballare e cantare in Andalusia, sempre per mano con Clopin, saltellandogli accanto e lamentandosi perché le facevano male i piedi, e lui la prendeva sulle spalle; si immaginò nuovamente in Provenza, a otto anni, a rotolarsi sulle alte colline ricolme di fiori insieme alle sue amichette gitane, ricordò il suo primo incontro con Djali; poté rivedersi nascosta dietro il muretto del sagrato di Notre Dame a spiare i movimenti dell'arcidiacono. Il cuore sussultò nel suo petto, ormai quasi colmo d'acqua,e le parve all'improvviso di quasi essere felice, in quel momento così disperato; ripensò ai momenti passati insieme e, in un certo senso, a ciò che era successo quella notte. Fu allora che si rese conto che a lei di Phoebus non importava proprio nulla; non era minimamente preoccupata per la sua vita, e non le interessava neanche accertarsi che stesse bene. Non che poi potesse, visto in che situazione si trovava. Stava per lasciarsi completamente andare al tiepido torpore che la avvolgeva, quando due mani la afferrarono saldamente, per poi trascinarla a riva. Tossì sonoramente, gran parte dall'acqua uscì dal suo corpo, dovette sputare ripetutamente per espellerla tutta; ancora leggermente stordita, si lasciò cadere sdraiata sull'erba, i suoi occhi improvvisamente offuscati ed umidi dopo la paura. Ebbe la sensazione di star per svenire, un brivido la scosse tutta, facendola sobbalzare scomposta; non riuscì a vedere il volto di colui che le aveva appena salvato la vita, un po' perché non ne ebbe il tempo a causa del mancamento imminente, un po' perché egli indossava un cappuccio nero che gli copriva il viso.
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Amor Amara Dat
Storie d'amore> Odero, si potero; si non, invitus amabo. Ti odierò, se potrò; altrimenti ti amerò mio malgrado. 1.03.2017 --> 11.09.2017