La brocca infranta

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<<Un duello.>>
Sgranò gli occhi a quelle parole, il cuore le tremò nel petto nell'udire il vambrace sbattere violentemente sul pavimento di legno della torre; sollevò lo sguardo, per tentare di incrociare, almeno per qualche secondo, quello di don Claude, che pareva, però, perso nell'osservare il guanto d'arme,  classico comportamento che segnalava una sua profonda riflessione.
<<Vi lascio il tempo per pensarci. Sono le cinque. Alle sei vi attenderò su, in cima alla torre. Se accetterete, e vincerete, allora voi e la zingarella sarete liberi di andare. Se invece perderete, o vi rifiuterete di combattere, be', potete dire addio alla piccola Esmeralda.>> interruppe il glaciale silenzio il capitano, la sua voce pareva divertita nel pronunciare quella sentenza così dolorosa per le orecchie della zingarella. Sapevano tutti e tre che non avrebbe potuto mai vincere. Don Claude non aveva mai tenuto in mano una spada, e lei lo sapeva benissimo; era chiaro, non aveva sicuramente avuto l'addestramento di Phoebus, di conseguenza non sarebbe riuscito, se non fortunuosamente, a vincerlo in un duello. Vide il soldato fare un cenno ai suoi compari, le mani irritanti delle guardie le lasciarono le braccia, udì lo scattare della serratura delle manette, che le liberarono i polsi, improvvisamente doloranti; i militari uscirono rapidamente dalla stanza, scesero le scale senza aggiungere parola, seguiti, in silenzio, dal procuratore Charmloue, la cui presenza l'aveva irritata tremendamente, vista l'amicizia che lei pensava provasse per l'arcidiacono. Quando il magistrato le rivolse uno sguardo sdegnato, lei ricambiò con furia, la rabbia le faceva ribollire il sangue nelle vene; se non avesse saputo che avrebbe solo peggiorato la situazione, si sarebbe gettata a capofitto su di lui, distruggendolo a furia di pugni e calci. Il tradimento era la cosa che più la snervava. E la cosa che più le faceva male, era che, se si trovavano in quella situazione, era solamente colpa sua; soltanto perché lei non aveva deciso di fidarsi dell'arcidiacono. Se non gli avesse voltato le spalle, quel quattordici febbraio, forse allora non sarebbe successo nulla; avrebbero continuato a vedersi, e il loro amore sarebbe sbocciato comunque, prima o poi. Osservò come, con superiorità, Phoebus si avvicinasse ancora al prete, e, con cattiveria, sibilasse: <<Sempre che voi ne abbiate il fegato.>> all'orecchio di lui, ma abbastanza ad alta voce perché anche lei sentisse. Aggrottò le sopracciglia, furiosa; si precipitò verso di loro, spinse via in malo modo il soldato, a pugni stretti: <<Andatevene! Avete detto alle sei! Via! Via da qui!>> gli urlò in viso, senza smettere di allontanarlo a furia di spintoni e schiaffetti piuttosto deboli sulla corazza dorata <<Lasciateci in pace!>>
Lui si lasciò sfuggire una risata sarcastica, inarcò un sopracciglio biondo con caustica ironia e, senza aggiungere altro, le diede le spalle, il suo lungo mantello si scosse nel movimento, per poi uscire dalla torre e richiudere la porta, l'eco dei suoi passi metallici riecheggiò nella tromba delle scale; Esmeralda si voltò rapida, per poi correre nuovamente verso l'arcidiacono e, non curante del vambrace davanti a lui, abbracciarlo forte, al punto da quasi percepirne le costole: <<Vi prego, non fatelo.>> mormorò, la voce le si spezzò in gola. Lui rimase immobile al suo gesto, improvvisamente freddo, spento, distante; le parve di sentirlo irrigidirsi a quelle sue parole, ed il timore d'aver detto la cosa sbagliata l'investì. Sollevò lo sguardo, per poterlo vedere in viso; era serio, assente, i suoi occhi nocciola erano fissi sul pavimento accanto a lui, là dove il guanto d'arme giaceva, scintillante sotto la gelida luce del sole marzolino, che ormai accennava a tramontare, ed i suoi raggi rosei attraversavano le piccole fessure delle enormi finestre della torre; era ovvio ciò che gli passava per la mente. La piccola scosse il capo, gli prese il volto tra le mani: <<Don Claude,>> lo chiamò <<Claude,>> tremò nel pronunciare solamente il suo nome <<Ascoltatemi. Vi prego.>>
Lui scostò lo sguardo dalla scintillante parte d'armatura dorata, per lasciarlo scontrare con gli occhi di lei che, forse per la prima e vera volta, sostenne quell'intenso suo modo di guardare; gli accarezzò le guance con i pollici, inclinò le sopracciglia all'insù, terrorizzata: <<Non fatelo. Sapete meglio di me che non riuscireste a batterlo. Vi prego, non accettate di combattere contro di lui!>> disse, tentando di sedare il nodo che le stringeva la gola.
<<Se non lo faccio, moriremo entrambi!>> ribatté il prete <<Ti farà del male!>>
<<No, se fuggiremo prima che lui possa fare qualcosa!>> ribatté la ragazzina prima di afferrargli le mani e, speranzosa, trascinarlo verso la porta della torre <<Usciremo dalla parte sinistra, passeremo per il chiostro, e ...>>
<<Credi che sia così sprovveduto?>> la interruppe l'uomo <<È un soldato. Avrà piazzato una sentinella ad ogni porta, di sicuro avrà messo in preventivo un'idea del genere!>>
<<No!>> ribatté lei, pur sapendo che, suo malgrado, ciò che don Claude aveva appena detto era vero. Si morse il labbro, il cuore le gravava nel petto, delle lacrime le offuscarono la vista: <<Possiamo farcela! Dobbiamo solo trovare un diversivo, e poi saremo liberi ... andremo in Provenza e vivremo felici laggiù, dove nessuno potrà farci del male ... >>
<<Esmeralda...>> continuò la voce di lui.
<<Avremo dei bambini e non soffriremo più e ...>>
<<Esmeralda...>>
Si asciugò il viso con una mano, arrabbiata con se stessa per non essere riuscita a mantenere il controllo delle sue lacrime, che, crudeli, avevano deciso di scivolarle lungo le guance; era conscia che, facendo così, non aveva fatto altro che ferirlo. Si gettò contro il suo petto, lo strinse ancora più forte di quanto non avesse già fatto prima, sopprimendo a forza quel pianto che voleva così disperatamente uscire da lei; non voleva che la vedesse piangere, non ora che tutti e due, in qualche modo, potevano percepire l'addio così vicino, così imminente, così impossibile da evitare. Sentì una mano di lui prendere ad accarezzarle i capelli, udì il cuore del prete, nascosto nel suo petto, suonare come un tamburo, ma lentamente; era tranquillo. Pareva aver accettato, in qualche modo, di essere inferiore; lo percepì chinarsi leggermente: <<Ce la faremo. Batterò Phoebus e saremo liberi.>> le sussurrò all'orecchio, stringendola un po' di più a sé <<Te lo prometto.>>

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