Quando si vede che un prete ed un filosofo non sono la stessa cosa

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Esmeralda ....

Voci sconosciute gli sussurravano quel nome all'orecchio, ad ogni ora della sua giornata, che lui fosse sveglio o che lui dormisse; da quando era riuscito a fuggire da "Le Pomme d'Eve", l'arcidiacono don Claude Frollo pareva completamente cambiato: parlava ancora meno del solito, i suoi occhi color nocciola erano velati da un peculiare strato di vuoto, non si alzava quasi mai dalla sua sedia nello studiolo, non muoveva un muscolo se non per necessità o perché non poteva controllarne le funzioni, come accadeva per il cuore, non respirava più allo stesso modo, non guardava più nessuno allo stesso modo, non era davvero più lo stesso. Le sue labbra erano perennemente serrate, morse dai suoi stessi denti, e non si muovevano d'un millimetro; se qualcuno gli avesse domandato qualcosa, sempre se Frollo lo avesse ritenuto degno, gli avrebbe risposto con un grugnito e con gesti delle mani, svogliato ed infastidito da tali futili interruzioni. Anche ora, a praticamente un giorno dall'accaduto, il prete non si era mosso di una virgola dalla sua scrivania, perennemente silente, mentre quelle voci demoniache continuavano a sussurrargli all'orecchio Esmeralda, Esmeralda, Esmeralda ....
Si coprì il viso pallidissimo con le mani, dunque si tappò le orecchie, nella vana speranza che quei mormorii terminassero, ma a quel suo gesto parvero solamente aumentare, farsi sempre più forti, sempre più insidiosi; voleva un attimo di pace, uno solo, un momento almeno per potersi ricomporre; poi, avrebbe ricominciato ad ascoltarle. Fosse bastato non pensarci! Era impossibile; percepiva ancora il sangue del giovane soldato sulla sua mano, lo vedeva ancora scorrere irriverente lungo la schiena colpita dell'uomo, uno strano tremore gli scosse l'arto destro. Lanciò un'occhiata a quella mano così agitata, rimase ad osservarla per lunghi attimi, mentre la sua mente vagava nei ricordi della sera precedente, e le sue labbra riprendevano a bruciare al percepire di nuovo quelle soffici e carnose della zingara posate su di loro ... un grido furioso gli sfuggì, sbatté i pugni sulla scrivania così fortemente da quasi distruggerla; che cosa gli avesse fatto quella ragazzina ancora non riusciva a capirlo. Sapeva solo che la amava. La amava da impazzire, cosa che, tra una risata pazzoide e un momento di rabbia pura, stava cominciando a succedergli; ma al tempo stesso la odiava con un'intensità a lui sconosciuta. La odiava perché lei gli aveva voltato le spalle, lei se ne era andata a spasso col suo caro capitano, dimenticandosi di lui e lasciandolo in pena per giorni, senza nemmeno scomodarsi di andare lì ad avvisarlo; non che poi, se lei lo avesse fatto, lui avrebbe reagito così tanto allegramente. Probabilmente, sarebbe solo stato peggio. Si passò una mano sul viso, ancora una volta lasciò perdere l'idea di continuare a correggere quel tomo inutile scritto da maître Charmloue. Lo torturava da settimane, ogni volta che lo vedeva gli domandava se lo avesse finito di leggere, e lui doveva sempre trovare una scusa abbastanza sensata per dire che no, non ne aveva avuto il tempo, e che forse gliene sarebbe servito un po' più del previsto. Come era vero, in realtà! Se una giornata fosse stata composta da trentasei ore, invece che da ventiquattro, forse lui sarebbe riuscito sia a correggere il libro che a ritrovare Esmeralda. Il solo ripensare a lei lo mandò in una sorta di estasi, i suoi occhi color nocciola si chiusero, il bel corpicino della fanciulla prese nuovamente a danzare nei suoi ricordi, mentre la dolce melodia del 14 febbraio gli risuonava nelle orecchie, quasi permettendogli di sorridere; ma poi, la sagoma della piccola, anche in quella sorta di sogno, venne distratta dall'arrivo del capitano e sottratta a lui con la brutalità più crudele esistente al mondo. Solamente quando aprì gli occhi si rese conto di avere delle lucide e calde lacrime sulle guance, e se ne vergognò, soprattutto quando si accorse che la porta d'ingresso del suo studiolo era stata aperta da qualcuno; costui era un ragazzo sui vent'anni, dai lunghi e lisci capelli biondi e dai tipici occhi azzurri, goffo all'apparenza e reso quasi idiota dalla stupefacente ed allampanata forma del corpo. Don Claude si limitò a sospirare, alla sua vista: Pierre Gringoire, il suo allievo di etica. Il ragazzo entrò lentamente nella stanza, le guance tinte d'un rosso carmino: <<Buongiorno, maestro!>> gli sorrise imbarazzato <<Mi spiace disturbarvi a quest'ora ...>>
<<Non ve ne preoccupate, mastro Gringoire.>> rispose in velocità il prete prima di chiudere il volume di Charmloue e di chinarsi leggermente per raccogliere dalla pila di libri accanto a sé un volume utile alla lezione.
Nonostante Frollo paresse la persona più saggia e retta della città,nonché la più temuta, il suo studio non era il riflesso dei suoi modi di fare; era molto ampio, ma tutto lo spazio utile era occupato: poco distante dalla finestra c'era la sua scrivania, su cui alloggiavano pile e pile di libri, tanto alte e tanto concentrate da quasi nascondere l'arcidiacono alla vista di un visitatore, accompagnate da innumerevoli fogli scribacchiati sparsi per tutto il piano di lavoro, che ovviamente non bastava; altre centinaia di pile di libri erano sparse su sedie, alcune anche per terra, ed erano composte dai libri che,in teoria, sarebbero dovuti stare negli scaffali, ora semivuoti, ma era evidente che il prete non avesse mai davvero voglia di rimettere a posto. Accanto alla scrivania, poi, c'era un secondo tavolino, su cui giacevano altri fogli ricolmi fino all'orlo di calcoli e di disegni confusi; i suoi lavori d'alchimia. Gringoire non era tipo da sconvolgersi facilmente, ma il suo maestro d'etica era davvero una persona sorprendente che sapeva stupirlo e farlo sentire di troppo in ogni momento della sua vita; forse era anche per questo che non frequentava più di tanto le lezioni.
<<Accomodatevi pure ...>> il prete si guardò attorno, come a cercare una sedia vuota, o perlomeno un cantuccio, ma arrossì vistosamente non trovandolo <<... dove riuscite a sedervi.>> terminò imbarazzato <<Dovrei fare un po' d'ordine in questa stanza.>>
<<Con tutto il rispetto, stavo per dirvi la stessa cosa.>> borbottò Gringoire prima di sedersi in precario equilibrio su una sedia ricolma di libri. L'arcidiacono annuì distrattamente, per poi sfogliare il libro che aveva preso tra le mani: <<Bene ... allora, vi ricordate dove eravamo arrivati l'ultima volta?>> chiese, soprattutto perché lui non ne aveva la più pallida idea. Erano passati mesi da "l'ultima volta".
<<Non sono qui per la lezione, maestro!>> ribatté il ragazzo con aria sbigottita <<Pensavo si fosse capito, visto che sono quasi le nove...>>
<<Le nove...!>> sussurrò come trasognato il prete, ma scosse il capo per allontanare i pensieri che ormai continuavano indisturbati a ronzargli per la mente.
Esmeralda ...
<<Già.>> bofonchiò Gringoire <<Volevo solo raccontarvi delle cose che mi sono accadute e che stanno accadendo a Parigi.>>
Don Claude parve sollevato a quelle parole: <<Ah,ma certo.>> disse <<Fate pure, io vi ascolto.>>

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