La creatura bella biancovestita

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Indossò la tonaca bianca e la stola per la Messa nello spogliatoio dietro l'altare, il tremore alla mano destra sempre più forte, come preso da follia; cosa che ormai, in lui, pareva infuriare. Non riusciva davvero più a concentrarsi, non senza avere qualcuno accanto che, ogni tanto, lo risvegliasse dai suoi pensieri, visto che ci sprofondava sempre di più; se prima era stato inchiodato al pavimento da quei begli occhioni neri, ora stava scivolando nelle sabbie mobili della loro bellezza, tanto da quasi trovarvisi immerso fino al ginocchio; sospirò pesantemente nel ricordare quello sguardo ricolmo d'odio che lei gli aveva rivolto, quelle parole così semplici che, però, lo avevano tranciato in due. Che potere aveva, quella zingara, nella sua bella voce incantatrice; poteva accarezzarlo, ma al tempo stesso pugnalarlo senza pietà, ferendolo nel corpo e nell'anima senza, forse, nemmeno rendersene conto. Che brivido vederla avvolta solamente in quella camicetta ... che onore tenerla tra le braccia per portarla dentro la cattedrale, poiché la poverina, accasciata sullo zingaro morto, era svenuta dal dolore! E lui certo non avrebbe potuto lasciarla lì; così aveva deciso di darle asilo ... e forse così avrebbero anche chiarito un po' di cose. Rimase immobile a contemplare la tonaca bianca che indossava, gli parve così inutile, insensata, arrivò persino a domandarsi che cosa ci facesse lì; in fondo, non era un dannato,ormai? Perché doveva proprio essere lui a celebrare la Messa? Lui che non c'entrava più con quel mondo?

Ma le lacrime di pena che avrei potuto spendere per il vostro oscuro e meschino essere si sono trasformate in lacrime d'odio.

Le parole della zingarella riecheggiarono nella sua mente, un coltello invisibile lo colpì dritto al petto, una fitta e stretta morsa insopportabile gli cinse il cuore; l'amava così tanto! Perché non era riuscito a dirglielo? Perché? Perché era un codardo. La piccola aveva ragione a definirlo così; non aveva nemmeno avuto il coraggio di dire la verità ad un giudice e di salvare una persona che, razionalmente, non c'entrava affatto con il capitano e tutto il resto. Fosse stato capace di tornare indietro nel tempo, lo avrebbe fatto; che senso aveva vivere, ora, potendo sì vedere la ragazzina, ma potendo avere solamente il suo odio, e sentirla cantare il suo amore per un altro uomo? Invidiò quel maledetto Phoebus ancora una volta, strinse con forza la tonaca, tanto da stropicciarla definitivamente, arraffò la papalina nervosamente, per poi sbattersela in testa con fastidio inconfondibile; avrebbe dato la vita per poter essere al posto di quel soldatucolo, non solo quella notte, ma sempre, ogni giorno. Così sarebbe stato giovane, bello, magari non stupido, e qui dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere nel ricordare il colloquio di quella mattina,e, soprattutto, non avrebbe avuto quei tremendi pesi da sopportare, quelle stupide promesse da mantenere ... promesse che, verosimilmente, era stato costretto a fare. Da ragazzo, comunque, non avrebbe avuto tanta altra scelta; era solo al mondo, visto che i suoi genitori erano morti di peste, e aveva suo fratello Jehan da mantenere, ancora troppo piccolo per darsi da fare da sé: l'unica via di fuga era farsi prete. E siccome non aveva potuto desiderare altro in tutta la sua vita, si era imposto di amare ciò che faceva, metterci anima e corpo, cosicché, forse, gli sarebbe parso meno difficile; dunque, i suoi maestri gli avevano introdotto l'arte dell'alchimia, e lì lui aveva deciso di perdere le sue giornate, sfogando in miscele ed esperimenti i suoi istinti più nascosti. L'alchimia era tutto ciò che gli piaceva fare in tutto il suo tempo libero, ovviamente seguito dal perdersi nella lettura di un buon libro, e, in parte, si divertiva a miscelare elementi e a far esplodere qualche boccetta; gli sembrava di essere meno matto, così. Ma poi, poi era arrivata lei. Lei, che lo aveva stordito, colpito nel profondo sin da subito, che aveva scatenato in lui il fuoco di un vulcano, aveva sgelato quei ghiacciai che gli avevano avvolto il cuore, e aveva fatto volare il suo animo verso un sentimento dimenticato da tantissimo tempo: l'amore. L'amore, oh, perché l'essere umano agognava tanto a provarlo,se poi ci si sentiva così male? L'arcidiacono lo trovava un vero e proprio tormento; se prima era contento e felice nel pensare alla piccina, l'attimo dopo scoppiava di dolore, senza aver spostato di un millimetro la mira del suo flusso mentale. Quando le posava gli occhi addosso, aveva la tentazione di prenderla e basta, di farla finita,una volta per tutte, poiché comunque era da un bel po' che lei lo possedeva senza nemmeno saperlo, e dunque sarebbe anche stata ora che questa possessione fosse ricambiata; ma ancora non ce la faceva, perché non voleva forzarla, non voleva distruggere quella creaturina così pura, aspettava in silenzio che fosse lei a venirgli vicino, a dirgli che sì, lo amava, e che sì, lo voleva con lei. Ma, in cuor suo, era conscio che non sarebbe mai successo, e quindi, almeno quando era davanti a lei, tentava di farsene una ragione; anche perché altrimenti sarebbe scoppiato in un mare di lacrime, e passare per piagnone, oltre che per codardo, non gli sarebbe piaciuto troppo.

Le campane suonarono sette rintocchi, un profondo sospirò fuoriuscì dalle labbra del prete; era ora di mettersi al lavoro, evidentemente. Uscì dallo spogliatoio, entrò per introdursi all'altare con ligia eleganza, senza neanche rendersi conto di aver già catturato lo sguardo di tutti i fedeli seduti tra i banchi della cattedrale; la sua sola presenza, per molti, era una sorta di illuminazione, tutti lo rispettavano e lo veneravano soprattutto per questo: lo vedevano come un saggio prete un po' restio, e per questo andava trattato con i guanti. Se avessero saputo la verità ...! Lo avrebbero lapidato sul posto. L'organo terminò la sua solita tiritera, il coro di frati smise di cantare, e lui raggiunse la sua posizione poco distante dall'altare, davanti al leggio su cui erano posati la Bibba e gli appunti per la solita predica che annoiava un po' tutti, compreso lui stesso; prese a recitare e a leggere ad alta voce le usuali frasi di Messa, per poi dedicarsi alla lettura di qualche passo del Vangelo, svogliatamente lanciando qualche sguardo ai pochi fedeli sparsi qua e là. Conoscendo la storia della adultera praticamente a memoria, l'arcidiacono lasciò gli occhi errare per la chiesa, per vederla, per l'ennesima volta, da quella così prestigiosa angolazione; sembrava così vuota, vecchia, abbandonata a se stessa, in una certa maniera, e quei pochi santi nei bassorilievi parevano addormentati e spenti. Fu quando raggiunse con lo sguardo il piccolo balcone che permetteva ai visitatori di affacciarsi sulla navata principale dal secondo piano che la vide: Esmeralda. Era appoggiata con i gomiti al parapetto del balconcino, pareva ascoltarlo con freddo interesse, i lunghi riccioli corvini le incorniciavano il viso ricadendole sulle spalle, ancora avvolte nella camicetta stracciata; la vide sobbalzare, come se si fosse resa conto del fatto che lui l'avesse notata, ma non distolse lo sguardo. Il prete abbassò il capo; non poteva averla vista per davvero. Esmeralda era chiusa nella sua celletta, a chiave, e non sarebbe potuta uscire; a meno che non fosse entrata in possesso della chiave. Oppure, a meno che Quasimodo non avesse dimenticato la porta aperta. Don Claude trattenne un sospiro disperato; che cosa doveva fare con quel disgraziato? Se la porta era chiusa a chiave, un motivo evidentemente c'era; ma era ovvio che il gobbo non se ne fosse preoccupato, accecato come poteva essere dalla splendente fanciulla. Quella ragazza era come il sole per Icaro. Un'inestinguibile meraviglia inarrestabile, ipnotizzante, accattivante, magnetica,impossibile da evitare; e fu ciò che pensò il prete quando si ritrovò a sollevare nuovamente lo sguardo, un po' sperando di non rivederla, ma maggiormente desiderando di trovarla ancora là. E, per sua sorpresa, finalmente un suo desiderio venne realizzato.
Celebrò la Messa ancora più svogliato, con il fuoco ardente che gli bruciava le membra, la voglia di raggiungerla e di parlarle implacabile dentro di lui; e quando pronunciò il famoso <<Andate in pace>>, non poté trattenersi dall'aprirsi in un sospiro di sollievo. Aveva controllato per tutta la celebrazione che lei non si fosse mossa di lì, ed era stato sorpreso nell'accorgersi che non si era spostata di un millimetro; pareva quasi essersi addormentata su quel parapetto. Scivolò sul retro dell'altare, senza nemmeno badare alla coscienza che gli gridava di far finta di nulla e di sistemare il calice e la coppetta per le particole, di aspettare che fosse lei ad avvicinarsi; si cambiò in fretta e furia e, febbricitante, salì le scale, per raggiungere il corridoio in cui, se tutto fosse rimasto come prima, avrebbe potuto trovare la zingarella; ma fu deluso, questa volta, nello scoprirla scomparsa. Ebbe l'improvvisa idea di aver solamente sognato; forse non era nemmeno mai stata lì. Ma quando udì una voce dolcissima canticchiare, si illuminò, e rizzò le orecchie, nella speranza di poterla seguire a distanza. Seguì quella melodia per i lunghi corridoi esterni, attraverso gran parte della cattedrale, scese più volte le scale, sempre inseguendo quel suono, che si fece più fioco una volta raggiunta la zona orientale della chiesa; il prete si nascose in fretta e furia dietro una colonna portante, lasciò errare lo sguardo per tutta la stanza, per poi vedere, a pochi passi dall'altare rosa dedicato alla Vergine, una figura minuta, dai lunghi e mossi capelli neri, inginocchiata davanti alla statua di Maria, ricolma di fiori ai suoi piedi. Ebbe un moto di tenerezza nel vederla così bimbescamente sistemata, il cuore gli sussultò nel petto, ed il calore lo scosse al punto da spingerlo addirittura a sorridere; la udì mormorare qualcosa, ma poté percepire solo il rumore soffuso dei suoi sussurri, e non le parole. Si dannò all'idea di non poter sentire nulla, si strinse alla colonna pur sporgendosi,nella speranza di poter captare qualche parolina, almeno una, solo per capire di chi o di che cosa stesse parlando; poteva solo immaginarlo, in verità. Probabilmente pregava per poter tornare tra le braccia del suo capitano. Si morse il labbro al pensiero; perché non aveva avuto la forza di dirle la verità? Di dirle che sì, la desiderava, ma che la amava al tempo stesso? Perché non poteva dirle "Ti amo"? Quelle parole erano...sacre, in un certo qual modo. E non avrebbe mai potuto dirle, non ad alta voce, non a lei. Sospirò, per poi nascondersi dietro la colonna, chiuse gli occhi; il silenzio non avrebbe aiutato, ma era tutto ciò che gli restava.

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