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Seguirono pochi istanti di silenziosa incredulità, nei quali il fatto appena accaduto prese il tempo di occupare le loro mente e realizzarsi nella sua totale drasticità.

Guren guardava la sua squadra dall'alto.
Loro restituivano lo sguardo, silenziosi, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta in un'espressione della sorpresa più assoluta.

Goshi si sentiva distante. Il vento che si era alzato e che agitava i rami spogli non lo toccava. Il suo sguardo attento era fissato sulla sagoma scura di Guren, i cui occhi viola scintillavano piano nella fioca luce.

Immobile. Paralizzato. Come avrebbe dovuto reagire?
Il respiro divenne affannoso e lui nemmeno se ne accorse.
Il tempo si era fermato.

Pian piano, quel qualcosa in lui che lo bloccava, impedendogli di muoversi, di pensare, si dissolse, come la nebbia mattutina allo spuntar del sole.
Prese un grosso respiro, abbassando lo sguardo a terra. Era una sensazione orribile.

Cosa avrebbe dovuto fare? Riattivare l'illusione? Tentare di far uscire il tenente colonnello con ogni mezzo possibile? Non lo sapeva.
Doveva aspettare. Un'azione che odiava compiere, non essendo nel suo carattere impulsivo.

Alzò gli occhi verso i suoi compagni di squadra. Le spalle di Sayuri erano scosse da leggeri tremiti, e Goshi capì che ella stava piangendo. Conosceva il suo attaccamento al ragazzo moro, e immaginò quali dovessero essere i sentimenti della giovane in quel momento. La minuta mano di Shigure era posata sulla sua schiena, e il dito indice descriveva sul tessuto dell'uniforme piccolo cerchi. L'assassina sembrava calma, e l'espressione piatta non lasciava trasparire alcuna emozione, come al solito.
Mito, la quale gli dava le spalle, aveva il volto sollevato verso Guren. I pugni erano serrati forte, le unghie conficcate nella carne. Un angolo di carta stropicciata sfuggiva dalle mani strette della rossa.

Goshi riportò lo sguardo e l'attenzione sul tenente colonnello.
Guren era riuscito a controllarsi- come, d'altronde, aveva sempre fatto: mai una volta in cui avesse mostrato un segno di cedimento o di dubbio.
Li scrutò uno ad uno, la rossa Mito con il labbro inferiore martoriato dagli incisivi, la gentile Sayuri dallo sguardo nocciola pieno di lacrime, la solita, concentrata Shigure, e poi lui.
Che era ancora bloccato nella sua iniziale espressione di stupore e smarrimento.
Lo guardò più a lungo.

-Andatevene, non c'è tempo- disse poi, sbrigativo, mantenendo un tono basso e scandendo bene le parole in modo da permettere la lettura del labbiale, gettando infine una veloce occhiata alle sue spalle. -Vi raggiungerò presto, troverò un modo. Ora via.-

E senza lasciar loro il tempo di reagire, scivolò giù dal muro.
Li aveva lasciati.

E Goshi si sentiva terribilmente confuso. Cosa avrebbe dovuto fare, ora?
Non aveva nessuno su cui fare affidamento, nessuno da proteggere, nessun compito da svolgere, nessun ordine da seguire.
Perso. Senza una guida. Senza una lista.

Eppure, doveva riuscire a trascinare tutti via da quella situazione.
Prese un altro respiro profondo. Avanzò di qualche passo, toccando la spalla di Shigure e richiamando la sua attenzione.
Doveva fare affidamento sulla ragazza, se voleva mantenere la mente ordinata. La sua calma e risolutezza lo avrebbero aiutato, in quelle ore che lo separavano dal rivedere il tenente colonnello.

Shigure annuì, come se già avesse capito tutto.
Goshi si voltò verso Mito. La rossa stava ancora guardando il punto dove Guren era scomparso.
Norito le afferrò il polso, e senza dire una parola, seguì le altre due, via da quella residenza, via nella notte, lontano dal tenente.

Dall'altro lato della muraglia, Guren stava lentamente crollando.
Mentre ordinava ai suoi compagni di andarsene, di abbandonarlo, era riuscito a mantenere un contegno e una solidità invidiabili da qualsiasi comandante.
Al contrario, quando era da solo si lasciava andare. Non piangeva, ma dava libero sfogo alle sue emozioni, permettendo loro di comparire liberamente sul suo viso, e, improvvisamente, diventava la persona più espressiva che conoscesse.
Tutti possono fare buon viso a cattivo gioco, ma non per sempre. A un certo punto, crollare diventa un bisogno.
Nemmeno Shinya l'aveva mai visto in quei momenti, nonostante non dubitasse affatto della sua sensibilità.

Lasciò che il panico che aveva iniziato ad invadergli i polmoni svanisse, e la sua respirazione tornò regolare com'era sempre stata.
Recuperò un po' della sua razionalità.

Doveva muoversi, non poteva rimanere sempre nello stesso posto. Il giardino era largo, e quella parte buia era poco sorvegliata, aveva l'occasione di trovare un posto più nascosto di quel prato curato msnon illuminato.

Facendo attenzione anche al minimo rumore, Guren strisciò via, rasente al muro di cinta.
Il già grande viale si allargò ulteriormente. Gli alberi, spogliati dai venti freddi dell'inverno, si ergevano regolari.

Come Guren aveva previsto, quel tratto di proprietà non era sorvegliato.

Improvvisamente, la strada che percorreva si allargò.
Piante dal grande fusto largo e nodoso crescevano alte, superando perfino il già imponente muro.
Le folte fronde argentee si muovevano frusciando al ritmo di un vento invisibile.

Quegli alberi così grandi non v'erano certo in Giappone, e Guren ipotizzò che venissero da terre lontane, forse dall'Europa, dove le stagioni regolari s'alternavano e un sole caldo splendeva.

Si avvicinò circospetto, avanzando all'interno di quel particolare boschetto. Posò il palmo aperto contro il tronco di una delle piante, sentendo sotto di sé il legno vivo, caldo e pulsante.

Sorrise, una reazione involontaria al tatto di quella corteccia legnosa.

E di getto, scelse di salirci sopra. Si arrampicò con destrezza, abile come un gatto, arrivando presto in cima, in un comodo centro dal quale partivano le diramazioni dei rami.

Si accomodò, poggiando la testa su di una rientranza lieve.
Si sentiva al sicuro, protetto da quelle folte fronde, cullato dai grandi rami.
Poteva riposare.

Un pensiero più urgente e incalzante, però, si fece strada nel suo cervello, silenzioso come una serpe, non appena Guren chiuse gli occhi.

La lettera.
Guren, apri gli occhi! La lettera!

Quello che fece. Li aprì di scatto, cercando freneticamente il contatto con la carta accartocciata che aveva infilato alla ben'e meglio nella tasca. Tirò un sospiro quando le sue dita toccarono la superficie stropicciata del foglio.

Lo tirò fuori, lisciandolo con cautela.
Era più importante del riposo.
Si sistemò meglio, tirando fuori da una tasca interna della felpa una minuscola torcia.
Puntò il debole faccio di luce sulla lettera.
Era ora di cominciare la lettura.

Gureshin || Back to the pastDove le storie prendono vita. Scoprilo ora