Capito due

1.8K 72 21
                                    

[THOMAS]

23 Marzo 1944, nei pressi di Varsavia

Il cielo è avvolto da nuvole dense, mentre l'aria taglia come lame affilate. Sono su questo camion, attraversando una città desolata, priva di vita umana, in cerca degli ultimi individui da condurre verso quel campo di schiavitù, destinati a un'agonia senza fine e, a mio avviso, priva di senso.

Mi chiamo Thomas Hoffmann, ho 24 anni, e sono un soldato dell'esercito tedesco. Nonostante ciò, il mio sogno è sempre stato quello di diventare un medico, ma ora mi ritrovo a compiere azioni che vanno contro ogni principio di salvezza e cura. Provengo da una famiglia potente ma altrettanto vulnerabile, ci troviamo ad affrontare le sfide di una guerra che non abbiamo scelto. All'inizio, io e la mia famiglia dissentivamo da questo conflitto, infatti adesso, un errore da parte mia potrebbe mandarli dritti alla morte.

Mio padre, Hans Hoffmann, era un rinomato medico il cui desiderio era salvare vite umane, un intento ora soffocato dalla cruda realtà. Ora, il suo cuore desidera solo curare le stesse persone che io sono costretto a sterminare. Mia madre, una donna meravigliosa anche lei sottomessa dal volere del nostro capo, si chiama Sophia Hoffmann, è un'insegnate di musica e il suo strumento preferito è il pianoforte ma ora come ora non c'è più niente di allegro per poter suonare.

Come dicevo mi ritrovo qui all'entrata di un edificio  completamente disabitato o almeno speravo lo fosse. Scesi nello scantinato e trovai una ragazza dallo sguardo spaventato rannicchiata su se stessa. Mi precedette un mio compagno dove la prese dai capelli e la trascinò per portarla sul camion, prime che scomparisse dalla mia visuale continuai a pensare ai suoi occhi, quei occhi così profondi e devastati dalla paura, quei occhi che probabilmente non avrei rivisto mai più.

Dopo diverse ore di viaggio, arrivammo al campo e cominciammo a far scendere tutte le persone che avevamo trovato. Tra di loro, riconobbi la ragazza che avevo trovato, e non potei fare a meno di pensare che se non avessi aperto quella porta, lei non sarebbe stata qui.

Una volta che tutti furono fatti scendere, mi affrettai verso la mia baracca per riposare un po' prima di iniziare il turno di guardia ai campi di lavoro.

Dopo un paio d'ore, mi diressi verso il campo di lavoro insieme a un altro soldato. Appena arrivato, notai immediatamente la ragazza di prima e la sua ferita alla gamba, anche il soldato che mi accompagnava la osservò attentamente, verificando se stava continuando a lavorare, poi si rivolse a me e disse: "Perché non ti diverti un po' con lei?" Inizialmente, trovai la sua proposta disgustosa, ma quella domanda mi diede un'idea su come poter curare la sua ferita.

Quell'amore nascosto ad AuschwitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora