Capitolo sei

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[DALILA]

Maggio 1944

È passata ormai una settimana dalla morte di Rahel, e non posso fare a meno di sentire la sua mancanza. Ogni giorno, appena apro gli occhi, spero di vederla accanto a me.

La sera che l'abbiamo sepolta, dopo che Thomas mi ha riaccompagnata, mi sono distesa e per quel poco che sono riuscita ad addormentarmi, ho persino sognato di averla lì con me, che provava a dormire e si rannicchiava su se stessa per il freddo, e io le davo la mia coperta per riscaldarla. Per me era come una sorella, e me l'hanno portata via... per sempre.

I giorni passano lenti, la solita monotonia, la solita vita, anche se chiamarla vita è un eufemismo, perché questa non è vita, è solo un incubo che probabilmente non avrà mai fine.

Un'altra giornata di lavoro è passata, sono sdraiata su questo specie di letto cercando di addormentarmi, ma gli urli provenienti da fuori non me lo permettono. Quasi ogni notte questi urli gelano il nostro cuore, certe volte sono così vicini che sembra che i soldati stiano per venirci a prendere per condurci verso la morte anche noi.

La porta si apre, quella sera è arrivata, ora è il nostro turno. Ci sono urli incessanti, pianti disperati, tutte noi sappiamo che la nostra fine è vicina. Ci sbattono fuori e ci trascinano in quelle camere dove ogni notte sentiamo provenire quegli urli strazianti. In quell'istante, mi sembra di notare Thomas, almeno prima di morire ho rivisto il suo viso. Spero almeno che i miei genitori sopravvivano a tutto ciò.

La porta si chiude... arrivo Rahel.

[THOMAS]

Altre urla, altro dolore. In questo momento vorrei essere con Dalila per proteggerla da tutto ciò, ma stasera sono in prima linea. Le mie pupille assisteranno a questo sterminio e niente lo può impedire.

Vedo gruppi di persone sbattute in quelle camere, per poi fare uscire solo dei vestiti senza dei corpi che li indossino. Un altro gruppo sta arrivando, guardo bene e noto fra quelle donne c'è Dalila. Mi sta guardando. Non posso permettere che oggi sia l'ultima volta che vedo i suoi occhi. Devo fare qualcosa.

Senza farmi vedere, mi dirigo dietro alla camera sperando che non sia troppo tardi. Apro la porta secondaria ed entro. Urlo il suo nome, ma nessuno accenna a muoversi. Entro e mi faccio spazio fra di loro, la vedo là a terra, immobile. La prendo fra le mie braccia per portarla fuori, ma qualcuno deve aver chiuso la porta. Provo a riaprirla, ma è incastrata. Inizio a dare spallate con tutta la forza che ho in corpo. Il gas sta iniziando ad uscire, l'aria sta diventando irrespirabile, ma devo resistere. Devo farcela per lei.

Riesco finalmente ad aprire la porta. Corro più velocemente che posso fino ad arrivare alla mia stanza, dove la adagio sul mio letto. Ma noto che non respira. Inizio a praticarle il massaggio cardiaco, alternandolo alla respirazione bocca a bocca.

"Dalila, devi farcela. Non puoi lasciarmi così. Torna da me" supplico mentre continuo con il massaggio.

Continuo per minuti interminabili, fino a che mi fermo. Non c'è più niente da fare... l'ho persa.

Mi accascio sul suo corpo, inizio a piangere. Non ho mai pianto, ma per lei lo sto facendo. Le avevo fatto una promessa e non sono riuscito a mantenerla.

All'improvviso sento una carezza sui capelli e la vedo lì, che mi sta fissando. La stringo a me. È un miracolo, lei è viva.

"Io pensavo fossi morta" ammetto con voce rotta dall'emozione.

"Appena sono entrata lì mi sono sentita male e devo essere svenuta" mi spiega.

"Mi hai fatto prendere uno spavento. Credevo di averti persa" confesso.

"Sono ancora qui grazie a te" risponde con gratitudine.

"Ora ti farò uscire" annuncio determinato.

"Come?" chiede con curiosità mista a speranza.

"Seguimi" le dico mentre ci dirigiamo verso l'uscita conosciuta solo dai soldati.

Arrivati lì, mi assicurai che nessuno ci stesse osservando " Julia, dove sei?" "Sono qui" mi rispose.

Mi girai e dissi ad Dalila che Julia era mia sorella e che l'avrebbe portata via da lì. Le spiegai che l'avrebbe travestita e fatto in modo che nessuno capisse chi era. Aggiunsi che sarei rimasto al campo per tenere d'occhio i suoi genitori e per non destare nessun sospetto.

"Digli che tornerò, che li verrò a prendere" mi chiese Dalila con determinazione.

"Glielo dirò, te lo prometto. Ora andate" confermai incoraggiandola.

Prima di andarsene, mi abbracciò. Per un istante rimasi senza parole, poi la strinsi a me. Ero consapevole che ora era al sicuro e che finalmente avrebbe potuto vivere in qualche modo. Giurai a me stesso che appena tutto questo fosse finito, sarei andato a prenderla.

[JULIA]

Mi chiamo Julia Hoffmann, ho 21 anni e condivido con mia madre la passione per la musica, ma il mio vero amore è il teatro. Sogno di calcare i palcoscenici più rinomati, di trasformare i sogni in realtà attraverso la recitazione.

Questa mattina ho ricevuto una lettera da mio fratello. In essa, mi ha parlato di una ragazza, una deportata, che ha bisogno del nostro aiuto. Ha condiviso con me il suo senso di colpa nei confronti di questa giovane e mi ha chiesto di aiutarlo. Nella caligine della notte, devo presentarmi all'entrata est, l'unico varco concesso ai soldati per rientrare a casa. È lì che incontrerò la ragazza, e da lì dovrò portarla al sicuro, nasconderla tra la folla per proteggerla.

È una missione pericolosa, lo so. Ma ho deciso di farlo. So che mio fratello non mi metterebbe mai in pericolo per una causa frivola. E poi, questa guerra ha allontanato le persone che amo: mio fratello e Frank, il mio compagno.

Quando le lancette dell'orologio hanno segnato le due, ho varcato la soglia della mia casa, determinata. Mi sono immersa nell'oscurità della notte e ho raggiunto il luogo prestabilito.  Mi nascosi e aspettai.

Quell'amore nascosto ad AuschwitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora