Capitolo docici

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[DALILA]

Era ormai l'alba quando mi svegliai.
La fame e la sete cominciavano a farsi sentire, ma non potevo permettermi di tornare indietro. Dovevo raggiungere il mio obiettivo, dovevo restare lontana da loro almeno finché tutto questo non fosse finito.

Continuai a camminare per chissà quante ore, fino a quando vidi una casa che sembrava abbandonata. Decisi di avvicinarmi con cautela, temendo di trovare qualcuno, ma per mia fortuna ero sola. Con passo incerto, varcai la soglia e mi addentrai nell'oscurità dell'edificio.

Iniziò a piovere, e mi ritrovai costretta a rimanere dentro la casa, sperando che la pioggia si placasse presto. Il freddo cominciò a farsi sentire, e mi strinsi a me stessa, desiderando ardentemente di essere tra le braccia di Thomas in quel momento. Le sue braccia calde e accoglienti avrebbero potuto farmi sentire al sicuro e protetta, ma sapevo che non potevo permettermi quel lusso. Dovevo tenerlo al sicuro, e ciò significava mantenerlo lontano da me.

Il freddo aumentava, penetrando nelle mie ossa. Non sapevo se fosse dovuto alla mancanza di cibo e acqua, o alla stanchezza accumulata, ma improvvisamente tutto si fece nero davanti ai miei occhi. Da quel momento, non vidi più nulla.

Non sapendo esattamente quanto tempo fosse passato né cosa fosse accaduto, mi ritrovai improvvisamente sveglia, avvolta da una coperta calda e accanto a un fuoco che emanava calore. Sentii una voce parlare e alzai lo sguardo verso di essa.

"Finalmente ti sei svegliata" disse la voce.

Chiusi gli occhi per un momento, cercando di raccogliere le mie energie prima di rispondere. "Tu chi sei?" chiesi, guardando la persona di fronte a me.

"Mi chiamo Naomi. E tu?" rispose.

"Dalila. Cos'è successo?" domandai ancora confusa.

"Sei svenuta e io ti ho coperta per riscaldarti" spiegò Naomi. "Che ci fai qui da queste parti?"

Era una ragazzina di colore, non più grande di 12 anni. I suoi riccioli formavano due code laterali, e i suoi occhi verdi mi guardavano con curiosità.

"Sto scappando" confessai.

"Sei ebrea?" chiese lei.

"Sì" risposi.

"Anche io sto scappando. Prima ero con mia madre, ma lei ha sacrificato la sua vita per salvarmi, quindi ora sono sola" disse lei con tristezza.

"Ora non lo sei più. Se vuoi, puoi venire con me" le offrii con un sorriso incoraggiante.

"Davvero?" chiese lei, i suoi occhi si illuminarono di speranza.

"Sì, davvero" confermai con fermezza.

Lei mi sorrise entusiasta e si gettò fra le mie braccia. La strinsi forte a me, determinata. Non le farò fare la stessa fine di Rahel la proteggerò da tutto questo.

[THOMAS]

Mi concedettero alcuni giorni per stare a casa, e noi partimmo alla ricerca di Dalila. Decidemmo di esplorare i boschi, poiché avevamo intuito che si fosse diretta in quella direzione.

Continuavamo a camminare in silenzio, immersi nei nostri pensieri, fino a quando mia sorella mi rivolse una domanda.
"Ma dimmi, con Dalila ci sei andato fino in fondo?"
"Che intendi?" risposi, cercando di capire il suo punto.
"Dai fratellone, sai cosa intendo" insistette lei.
"No, non lo abbiamo fatto" risposi sinceramente.
"Pensavo di sì, essendo che quella mattina ti sei svegliato più felice del solito" disse lei con un sorriso malizioso.
"Ho passato una buona serata e ho avuto il privilegio di sentire il sapore delle sue labbra, ma niente di più" chiarìi.
"Io l'ho sempre detto che avresti bisogno di una scopata, sei troppo rigido a volte" disse lei scherzando.
"E tu che ne sai, scusa?" chiesi sorpreso.
"Ti ricordi Philipp?" disse lei con un ghigno.
"Davvero?" risposi incredulo.
"Oh sì, hahaha. Quando dicevo a nostra madre 'Io e Astrid andiamo a teatro' o 'Vado a cena da Astrid', diciamo che non erano del tutto vere, non ti accorgevi che tornavo più rilassata del solito?" spiegò lei con un sorriso complice.
"Dovevo immaginarmelo" ammisii.
"Sai quante cose non sai? Hahaha" disse lei ridendo.
"Scusami, cosa?" chiesi confuso.
"Niente, niente" disse lei con un'altra risata.

Scoppiammo entrambi a ridere. Ero grato di avere lei al mio fianco. Da solo, non ce l'avrei fatta. Lei era la mia forza, e lo sarebbe sempre stata.

Camminavamo fino a quando non ci fermammo davanti a una grotta, dove vedemmo un pezzo di tessuto rovinato a terra.

"Questo è di Dalila" dissi con una nota di preoccupazione nella voce.
"Siamo sulla strada giusta" disse mia sorella, cercando di infondermi coraggio.
"Spero che non le sia successo niente di male. Non me lo perdonerei" confessai, sentendo il peso della responsabilità sulle mie spalle.
"Thomas, lei è forte. Ce la farà" disse mia sorella, cercando di darmi conforto.

Rassicurato dalle sue parole, promisi a me stesso che l'avremo ritrovata e che stavolta, non l'avrei lasciata mai più andare via da me.

...

Stiamo camminando da giorni ormai e le provviste che ci eravamo portati dietro stavano diminuendo, ormai cercavamo di mangiare il meno possibile e quello potevamo sopportarlo, ma l'acqua era quella che diminuiva di più e senza essa non so quanto saremmo sopravvissuti.
Ad ogni passo la fatica si faceva sentire, le nostre forze erano ormai minime, però dovevamo andare avanti dovevamo trovarla ad ogni costo. Continuai a sperare che Dalila stava bene, che era sana e salva e che soprattutto si trovasse il più vicino possibile per riaverla di nuovo fra le mie braccia e saperla finalmente al sicuro.

Continuammo a camminare, ma sfortunatamente la pioggia della notte precedente aveva trasformato tutto in un pantano di fango. Poi, improvvisamente, Julia si fermò.

"Che succede?" chiesi, guardandola interrogativamente.

"Guarda!" disse lei, indicando la strada che si divideva in due corsie. Notai che nella corsia di sinistra c'erano delle impronte di una persona, fresche dalla notte precedente.

"Potrebbero essere...?" iniziai a chiedere, speranzoso.

"Lo spero" rispose Julia, con la stessa speranza che provavo anch'io nel cuore.

Decidemmo di seguire le impronte che stavamo sperando fossero di colei che cercavamo disperatamente. Arrivati davanti a una catapecchia, le impronte scomparvero. Era evidente che chiunque fosse passato aveva trascorso la notte lì, poiché non c'erano tracce di recenti passaggi nei dintorni.

Entrammo con cautela, cercando di fare meno rumore possibile. Notammo un corpo addormentato, rannicchiato su se stesso per cercare riparo dal freddo che incombeva quella mattina.

Ci avvicinammo con un misto di speranza e timore, e finalmente ci rendemmo conto che quel corpo non apparteneva a una persona qualsiasi. Era lei.

Mi chinai verso di lei e le toccai il viso, e i suoi occhi si spalancarono impauriti fino a quando non riconobbe il mio volto. Le lacrime le rigarono le guance, e anch'io non riuscii a trattenere le mie emozioni.

"Perché l'hai fatto?" chiesi con voce tremante.
"Volevo proteggervi" rispose con sincerità.
"Il mio compito è proteggere te. Sarei disposto anche a morire per salvarti" dissi con determinazione.

Presi il suo viso fra le mani e feci unire le nostre labbra, sentendo il calore del suo respiro contro il mio. La strinsi possessivamente a me, con la paura che potesse scivolar via di nuovo.

Ci staccammo di malavoglia, e la guardai negli occhi. "Ora ce ne andremo io, te e Julia, e in qualche modo sopravviveremo. Te lo prometto" dissi con fermezza.
La ribaciai, consapevole che finalmente nessuno me l'avrebbe strappata dalle braccia. Lei era lì, e tutto finalmente aveva ripreso ad avere un senso.

Aprii gli occhi e guardai attorno a me. Ero ancora nella grotta, con Julia che dormiva. Ingoiai l'amara verità: tutto ciò che avevo vissuto era stato solo un sogno. Non avevamo trovato Dalila, non l'avevo baciata, non l'avevo guardata negli occhi. Lei non era lì con me.

Realizzando tutto ciò, piansi silenziosamente. Non importava quanto volessi urlare, non potevo farlo. Mi sentii avvolto da un senso di vuoto e disperazione mentre mi lasciavo cadere in un sonno senza speranza.

Quell'amore nascosto ad AuschwitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora