Capitolo tre

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[DALILA]

Aprile 1944

La giornata giunge al termine e, nel mente ci rimandavano dentro la baracca, mi sentii tirare il braccio

"Tu vieni con me"

Era lui, il soldato di prima. In quel momento, ho temuto il peggio, convinta che mi avrebbe condotta verso una fine terribile. Continuava a trascinarmi fino a quando non siamo giunti in un capannone. Appena dentro, ha chiuso la porta a chiave e si è avvicinato a me

"Fai finta che ti sto facendo del male, fai degli urli " mi intimò.

Faccio come mi dice, urlai e nel mentre notai lui che prendeva un kit del pronto soccorso per poi curarmi la ferita che mi ero causata

"Direi che cosi può bastare" disse guardandomi.

Lo guardo con sospetto stranita dal suo modo di fare, invece di uccidermi mi stava curando, invece di farmi soffrire stava cercando di alleviare il mio dolore alla gamba fasciandolo con attenzione con la paura di recarmi altro male.
Trovai il coraggio e parlai "Perché lo fai? uno come te disprezza una come me e invece tu mi stai aiutando"
"Io non ti disprezzo, io odio tutto questo, faccio tutto ciò per proteggere la mia famiglia. Ti giuro che se non fosse arrivato l'altro soldato io non ti avrei presa, ti avrei lasciata li libera da tutto questo"
"Se devi proteggere la tua famiglia perché mi stai aiutando? " domandai
"Il mio sogno è sempre stato quello di diventare un medico e in qualunque modo sto cercando di realizzarlo, e poi mi sento in colpa se non fosse per me tu non saresti qui."

Noto nei suoi occhi un velo di tristezza e io non posso fare a meno di pensare che forse questo ragazzo dagli occhi color ghiaccio è davvero diverso
"Mi chiamo Dalila "
"Thomas piacere "

Mi riportò alla mia struttura, raccomandandomi di controllare regolarmente la ferita e di tenerla coperta per evitare ulteriori infezioni e, soprattutto, affinché nessuno potesse vederla.

Una settimana è passata e comincio a temere di non riuscire a resistere ancora a lungo. Sento la fatica del lavoro pesare sul mio corpo, che si sta gradualmente consumando. Il freddo mi penetra nelle ossa mentre le brutali realtà che mi circondano invadono i miei sogni.

La struttura in cui siamo rinchiusi è un luogo lurido, dove ogni tipo di malattia trova dimora. L'aria è densa e irrespirabile, e tutte noi viviamo con il terrore costante di essere portate via per essere uccise nelle camere a gas, o di diventare così deboli da diventare inutili ai loro occhi.

Rahel è ridotta all'osso, la sua pelle è solo un velo sul corpo scheletrico, i suoi capelli spenti come lo sguardo vuoto che porta con sé. Cerco di starle vicino, nonostante la nostra conoscenza sia limitata tengo a lei e desidero uscire da questo incubo insieme.

La mia ferita si è finalmente rimarginata, grazie all'attenzione discreta di Thomas. Una sera è venuto a cambiarmi la fasciatura e ha iniziato a raccontarmi di sé. Ha solo 24 anni, ma sembra aver vissuto una vita intera. Mi ha parlato della sua famiglia, di sua madre e del suo amore per il pianoforte, anche se negli ultimi anni ha smesso di suonare. Suo padre, un medico che amava il suo lavoro ma odiava curare coloro che non meritavano la sua attenzione. Thomas voleva aiutare i bambini, e il dolore di vederli morire lo spezzava dentro. Avrebbe preferito morire con loro se non avesse avuto una famiglia da proteggere.

Esteticamente sembra il perfetto esempio di uomo ariano: alto, biondo, con occhi azzurri. Ma la sua anima è più vicina alla mia che a quella dei suoi connazionali.

Non mi guarda con odio, al contrario, avrebbe preferito condividere il nostro destino piuttosto che farci del male. Grazie a lui, la speranza di sopravvivere qui continua, anche se le mie forze sono al limite.

Mi ritrovo distesa su un rudimentale letto, mentre le urla dei miei compagni di prigionia si fanno sempre più insistenti, finché non mi sentì chiamare e noto Thomas che mi fa segno di raggiungerlo

"Che ci fai qui? " chiedo confusa,
"Non voglio lasciarti qui con quelle urla".

Mi prese per mano e ci dirigemmo verso il solito capannone, li mi strinsi cercando di  tapparmi le orecchie per non udire quelle urla. Sentii Thomas stringermi ancora più forte. Un brivido mi attraversò la schiena, ma al tempo stesso mi sentii protetta. La sua presenza, il suo abbraccio, mi fecero sentire al sicuro in quel momento di terrore.

Era come se in quel momento, tra le mura di quel capanno, potessimo sfuggire per un attimo alla crudele realtà che ci circondava
"Tranquilla, farò di tutto per far sì che non ti succeda nulla " .
Dopo quelle parole, non potei trattenere un sorriso, perché nonostante fossimo intrappolati in un inferno, sembrava che avessi ancora il mio angelo custode al mio fianco, che in qualche modo riusciva a proteggermi nonostante tutto. In quel momento di connessione, mi resi conto che anche in mezzo alle tenebre più fitte, c'era ancora un barlume di luce che illuminava il mio cammino.

"Non so ancora nulla di te" mi disse

"Non c'è molto da dire. Ho 18 anni e il mio sogno era diventare una cantante. Sono figlia unica e ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia fantastica che mi ha amato incondizionatamente fino all'ultimo istante. Mia madre, una delle sarte più abili del paese, era una donna dolce e gli assomiglia molto nel fisico. Mio padre, un professore di letteratura, era il mio eroe, e..."
Non riuscii a continuare, perché un dolore acuto mi attraversò il cuore al solo pensiero di loro. La mancanza era così travolgente, mi mancavano terribilmente. Le lacrime sgorgavano senza freno, scorrendo velocemente lungo le mie guance mentre piangevo disperatamente

"Scusa... il ricordo di loro mi spezza il cuore" singhiozzai
"Posso chiederti come si chiamano?"
"Mio padre si chiama Caleb Coen e mia madre Lea Coen, perché lo chiedi?"
"Posso provare a vedere se sono ancora vivi"
"Davvero faresti questo per me?"
"Certamente" confermò con determinazione.

Gli saltai praticamente addosso e lui mi strinse a sé. Forse c'era una piccola speranza che fossero vivi. Non posso permettermi di smettere di sperare ora. Devo farcela, devo farcela per loro. Perché ora, finalmente, ho una piccola speranza di poter ancora vivere la mia vita con loro al mio fianco.

[THOMAS]

Sto mettendo in pericolo la mia vita e quella dei miei genitori, ma non posso resistere alla tentazione di passare del tempo con lei. Ora che siamo qui e la tengo stretta tra le mie braccia, non posso fare a meno di rendermi conto della sua fragilità. Basterebbe un gesto sbagliato e potrebbe spezzarsi come vetro. I suoi capelli color miele si sono scuriti dal giorno in cui l'ho vista per la prima volta; i suoi grandi occhi marroni riflettono la dolcezza e la determinazione che questa ragazza ha dentro di sé.

Voglio fare qualcosa per lei. Troverò i suoi genitori, sperando che siano ancora vivi. Voglio vederla sorridere, anche se è difficile trovare motivi per farlo in una situazione del genere. Continuai a stringerla, cercando di proteggerla dal frastuono delle urla strazianti delle persone che stanno morendo. Lei deve vivere. Non accetterò che faccia una fine del genere. La proteggerò. Deve uscire viva da qui.

Quando le urla finalmente cessarono, la riportai con cautela nella sua struttura. Prima di lasciarla andare, la strinsi a me e le promisi che da domani inizierò le ricerche. Farò di tutto per scoprire qualcosa. Lei mi regalò un piccolo sorriso mentre entrava, e in quel momento capii che desideravo ardentemente che quel sorriso brillasse solo per me.

Non so cosa riserverà il futuro. So solo che se le cose fossero diverse, io e lei avremmo potuto incontrarci in circostanze migliori. E chissà, forse avremmo potuto iniziare una vita insieme.

Quell'amore nascosto ad AuschwitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora