Capitolo quattro

1.1K 61 16
                                    

[DALILA]

Aprile 1944

Passarono i giorni e iniziai a temere che la piccola fiamma di speranza che nutrivo fosse stata spezzata sul nascere. Quando aprii gli occhi dopo un lungo incubo che in realtà era la mia vita di adesso, tentai di alzarmi ma lottai contro il mio stesso corpo, ormai giunto al limite.

Non vidi più Thomas da quella notte. Immaginai che avesse scoperto la verità sulla morte dei miei genitori e non avesse il coraggio di comunicarmelo. Ora mi chiedo perché continui a lottare. Sono sola, i miei genitori non ci sono più, e la mia anima sembra essersi spenta insieme a loro. Ma continuo a riflettere su una frase che mio padre mi disse: "Figlia mia, qualsiasi cosa succeda, devi andare avanti. Anche quando noi non ci saremo più, tu realizzerai i tuoi sogni. Me lo prometti?" Gli feci quella promessa e intendevo mantenerla.

Le porte si aprirono e lì erano loro, con le loro divise e lo sguardo che diceva chiaramente che oggi sarebbe morto un altro di noi. Accanto a loro, un nuovo soldato fissava intensamente me, poi sussurrò qualcosa all'orecchio di un compagno e si avvicinò a me, finendo per trovarsi proprio davanti ai miei occhi.

Mi prese per il braccio e mi trascinò fuori dalla struttura, conducendomi verso un capannone simile a quello in cui ero stata poche volte con Thomas, ma stavolta lui non c'era. Ero sola con questo uomo che poteva portarmi alla morte.
"Sei molto carina sai..." mentre pronunciava queste parole, mi accarezzava la guancia, ma il suo tocco non era come quello di Thomas.

Era ruvido e mi faceva ribollire lo stomaco "Sarebbe un peccato sprecare una ragazza come te" continuò, mentre cominciava a mettermi le mani addosso.

Forse avrei dovuto rimanere immobile, sperando che non mi facesse del male o almeno di tornare viva nella mia "cella". Ma no, non potevo permetterglielo. Preferivo morire mille volte piuttosto che essere abusata da uno schifoso come lui.

Mentre cercava di strapparmi i vestiti con la poca forza che mi rimaneva, gli sferrai un calcio che lo fece stramazzare al suolo. In risposta, cominciò a picchiarmi, imprecandomi contro

"Tu lurida ebrea, io che volevo risparmiare la tua vita. Pagherai per non esserti concessa a me" gridò, mentre mi colpiva con violenza.

Un calcio dopo l'altro, schiaffi, cinghiate, fino a quando il mio corpo smise di reagire. Lui, soddisfatto, se ne andò convinto che fossi morta. Sì, avrei preferito esserlo. L'unica consolazione in tutto ciò è che avevo saputo difendermi fino a un certo punto.

Mi sentii sollevare dal suolo e iniziai a sentire una frase ripetuta continuamente, come un sussurro udibile solo per le mie orecchie.

"Andrà tutto bene... andrà tutto bene..." non riuscii a sentire cosa mi disse dopo, perché caddi in un sonno profondo, privo di sogni.

[THOMAS]

Sono le tre del pomeriggio e mi trovo nella mia stanza con una prigioniera. Lei è distesa sul mio letto, gli occhi chiusi, con un'aria che trasmette il peso di una vita ormai priva di speranza. Guardandola, non posso fare a meno di pensare che se avessi di fronte il responsabile di tutto questo, lo punirei con ogni fibra del mio essere per il male inflitto a lei. Lei, che dovrebbe essere la mia nemesi, ma che invece, piano piano, sto cominciando a comprendere e a sentire dentro di me.

Il suo corpo è segnato da lividi, la pelle appena copre uno scheletro che emerge. Occhiaie profonde sotto gli occhi e capelli senza vita.
Noto che ha aperto gli occhi, fissandomi con uno sguardo misto di curiosità e paura.

"Come mai sei sparito?" domanda con voce flebile.

"Ho avuto impegni da sbrigare..."

"Capisco..." mormora, abbassando lo sguardo.

"Non ho ancora trovato nulla, ma non perdere la speranza. Non è finita" cercai di rassicurarla.

Abbassa lo sguardo, e la Dalila che conoscevo sembra svanita, sostituita da un'ombra di sé stessa. Le chiedo cosa succede, ma la sua voce tradisce una profonda disillusione.

"Niente, perché? Mi trovo in un campo dove godono nel vedermi soffrire e morire lentamente... Va tutto alla grande, no? Quel soldato voleva violentarmi, e io ho preferito resistere, piuttosto che subire quel destino. Eppure sono ancora qui, intrappolata in questo inferno senza fine" la sua voce trema, e le lacrime solcano il suo viso.

"Ehi... so che è difficile, ma uscirai da qui. Te lo prometto"

"Non so più cosa credere," sussurrò, disperata "credi a me, ti porterò via da qui" dissi con fermezza.

La avvolsi con le braccia con cautela, sentii il suo corpo fragile sotto la mia presa. Giuro che la libererò, e forse già ho un'idea su come fare.

Quell'amore nascosto ad AuschwitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora