Capitolo otto

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[THOMAS]

Finalmente mi hanno concesso la libera uscita, e oggi avrò finalmente la possibilità di vederla. Cammino per le strade e con gioia noto mia sorella, Julia, intenta a guardare una vetrina di un negozio.

"Julia!" la chiamo, avvicinandomi.

"Oh, Thomas!" sussulta appena si gira verso di me.

"Ti ho spaventata, sorellina?" scherzo.

"No, è che non mi aspettavo di trovarti qui," risponde.

"Sorpresa!" dico sorridendo, "Ti hanno dato la libera uscita?"

"Sì, per due giorni potrò stare a casa" confermo.

Non risponde, ma mi guarda negli occhi e mi abbraccia stringendomi a sé. I suoi occhi blu sono così intensi che colpiscono al primo sguardo. Julia ha la capacità di nascondere ciò che prova, ma fortunatamente ho imparato a decifrare i suoi occhi. Quando è felice, sono chiari e luminosi, più brillanti del cielo in estate. Ma quando è triste, diventano un blu profondo come il mare, così intenso che chiunque ci si troverebbe immerso, provando la stessa tristezza che la affligge.

Iniziamo a camminare per le vie della città, e non posso fare a meno di chiederle di Dalila.

"Julia... dov'è Dalila?" domando.

"È a casa. Non si sentiva tanto bene, quindi ha preferito riposarsi" risponde, con un velo di tristezza negli occhi.

"Deve rimettersi in sesto. Questi tipi di ferite sono difficili da rimarginare" commento.

"Stasera voglio portarla fuori a cena" annuncio improvvisamente.

"Quindi ti sei deciso a dirle ciò che provi?" mi chiede, con un sorriso complice.

La guardo, sorpreso. Era così evidente?

"So cosa stai pensando, ed è abbastanza ovvio" mi conferma con un sorriso.

Le sorrido in risposta e ci dirigiamo verso casa. Finalmente avrò l'occasione di vedere Dalila e passare una serata con lei, come ho desiderato fare da quando l'ho conosciuta.

[DALILA]

Mi svegliai sentendomi più riposata che mai e decisi di farmi una doccia veloce prima di scendere al piano di sotto. Mentre percorrevo le scale, la porta si aprì. Era Julia che tornava dalla sua passeggiata, ma non era sola. C'era lui, Thomas, con quegli occhi azzurri che avrei riconosciuto ovunque.

"Thomas!"

"Dalila"

Scesi le scale il più velocemente possibile, facendo attenzione a non inciampare, e mi avvicinai a lui, gettandomi tra le sue braccia. Mi abbracciò senza esitazione.

"Quanto mi sei mancata" mi sussurrò all'orecchio.

"Anche tu Thomas" risposi, sentendomi al sicuro tra le sue braccia.

Ci liberammo dall'abbraccio e notai che Julia non era più lì con noi. Di sicuro voleva lasciarci soli.

Ci sedemmo sul divano e iniziammo a parlare. Mi disse che i miei genitori stavano andando avanti, che li teneva d'occhio e curava le loro ferite.

Continuammo a parlare finché Thomas non mi fece una domanda.

"Stasera ti va di cenare con me?"

"Certo, ne sarei onorata" risposi, sorridendo.

Appena risposi, lui mi concesse uno dei suoi migliori sorrisi.

Decisi di indossare un vestito nero lungo fino sotto le ginocchia, con un coprispalle bianco e scarpe bianche con tacco. Lasciai i capelli sciolti, trattenuti da due forcine ai lati.

Uscimmo di casa e iniziammo a percorrere le strade. Thomas mi fissava senza distogliere lo sguardo, senza sbattere le ciglia.

"Sto così male?" chiesi, imbarazzata.

"No, al contrario. Sei talmente bella che mi fai fermare il respiro" rispose, offrendomi il braccio per accompagnarmi.

Arrivammo davanti a un ristorante di nome "Le Marche", e entrammo. Un signore prese i nostri soprabiti e ci condusse al tavolo. Era un posto lussuoso, e chi lo frequentava era altrettanto elegante.

Prima di sedermi, Thomas mi spostò la sedia per farmi accomodare. "Che galantuomo" commentai.

"Tutto per una signorina bella come lei" rispose, facendomi arrossire.

Durante la cena, non smettemmo di parlare e di toccarci, prendendo il pane o la bottiglia di vino. Anche se erano solo sfioramenti brevi, i nostri corpi sembravano non volersi staccare l'uno dall'altro.

Dopo aver pagato, uscimmo e ci dirigemmo in un parco. Iniziammo a correre come due bambini, finché Thomas non mi prese.

"Ti ho presa" disse, guardandomi intensamente.

Mi accarezzò sulla guancia e mi strinse a sé. Misi le mani tra i suoi capelli, e piano piano ci avvicinammo fino a far scontrare le nostre labbra. Prima si sfiorarono, poi iniziarono una danza senza fine. Lo strinsi a me mentre lui appoggiava la mia schiena contro il muro e mi stringeva la vita. Passò dalle mie labbra al mio collo, e con una mano salì fino a stringere il mio seno. Chiudevo gli occhi per il piacere che mi provocava il suo tocco, ma improvvisamente fui assalita dai ricordi del campo e mi allontanai da lui.

"Ho fatto qualcosa di sbagliato?" chiese, preoccupato.

"No, sono io quella sbagliata" risposi, girandogli le spalle e iniziando a correre.

Ma non feci molta strada, perché Thomas mi raggiunse e mi fermò. Mi strinse a sé, e insieme tornammo a casa.

Prima di salire le scale, mi baciò la guancia e mi augurò la buonanotte. Ricambiai il gesto, abbracciandolo, e mi scusai per il mio comportamento.

Salii le scale, mi cambiai e mi misi sotto le coperte, pensando che forse quel ragazzo, avrebbe finalmente cancellato i miei incubi.

[THOMAS]

Salii le scale dirigendomi verso la mia camera, e nel mentre ricordai quel momento magico in cui le mie labbra incontrarono le sue. Erano così morbide, così calde, sembravano essere create apposta per me. Non mi importava se ad un certo punto si era staccata, credo di aver capito il motivo, e quindi comprendevo perfettamente il gesto.

Mentre camminavo, notai la sua porta socchiusa e non potei fare a meno di entrare. La vidi dormire sotto alle coperte, con i capelli che ricoprivano il cuscino. Mi sedetti su una poltrona disposta davanti al suo letto e posai le mani sotto al mento, fissandola avidamente, catturando ogni suo più piccolo gesto.

Prima di uscire, mi girai verso di lei e giurai a me stesso che questa creatura così perfetta sarebbe stata al sicuro, e chissà, magari in futuro sarebbe stata anche mia.

Quell'amore nascosto ad AuschwitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora