« Sei strana in questi giorni » Veer sollevò la schiena dal prato sul quale si era sistemato e si scostò abbastanza da sedersi accanto a Vissia, rimasta tutto il tempo poggiata ad un tronco, intrecciando steli d'erba.
La Celibea quel pomeriggio profumava ancora di primavera, nonostante l'autunno, il possente Ysèd, dal destriero rosso e la barba gialla, battesse ormai alle porte dell'Ostro con il proprio martello. Le foglie delle Fagacee conservavano una sfumatura verde acceso, il terreno si poteva vantare della sua coperta muschiosa ed i raggi parevano più caldi immersi nella foresta, una coltre smeraldina leggiadra ed ammaliante. Si erano convinti a ritornare al fiumiciattolo della Shonè per staccare momentaneamente dall'aria pesante che si respirava a corte dall'arrivo di Cassivellanus ed Almashan. La guerra stava prendendo sempre più le sembianze di un conflitto reale, vicino, una ghigliottina ciondolante sopra le loro teste, in attesa di sferrare il suo colpo mortale. I rapporti tra le persone venivano inevitabilmente soggiogati alla sua morsa, rendendoli sterili, di convenienza; nessuno aveva veramente voglia di parlare, rinchiudersi in se stessi era una soluzione ragionevolmente intelligente, permetteva di affrontare la tempesta in arrivo con le barriere alzate. La presenza claudicante di Asper, poi, riuscito finalmente ad alzarsi senza imprecare, fungeva da focolaio per alimentare la rabbia ed il nervosismo di quanti avessero appreso, nel periodo della sua convalescenza, quale ne fosse stato il motivo. Quel ragazzo non era neppure lontanamente consapevole del sigillo che si portava appresso, Veer stesso ribolliva di odio nel ricordare il cugino traditore e l'assurdo tentativo, dopotutto andato in porto, di generare un motivo per azzannarsi l'un l'altro. Ferni aveva toccato le corde giuste, come sempre.
Aveva una predisposizione naturale per manipolare le persone, sia con le proprie mani che attraverso infidi tranelli. L'aveva visto al funerale di Ermosed, aveva visto i suoi alleati pendere dalle sue labbra e guardare lui alla stregua di un cane randagio, divisi tra una compassione superficiale ed uno sdegno malcelato. Fortunatamente, Cassivellanus non era stato stregato dai modi pomposi del fratellastro, la sua esperienza di vita, livellata su dolore e rigetto, gli aveva donato un'intelletto gentile e raffinato, difficile da rigirare a proprio favore. Era stata la loro salvezza, sarebbe stata la loro salvezza. E se fossero riusciti a portare dalla loro parte anche le Centicore, avrebbero avuto un futuro. Veer sapeva quanto a Maitreya non importasse di morire, incontrare la morte su un campo di battaglia era sempre stato il suo più intimo desiderio, ed ora ne aveva la possibilità, non l'avrebbe mai sprecata. Ma lui, lui non poteva permettersi di spirare senza prima aver compiuto il necessario per vendicarsi, assicurare una vita agiata ad Arian e riportare Vissia nel suo mondo. Se fosse rimasto vivo, dopo tutto quel che sarebbe successo, forse l'avrebbe persino seguita, lasciando Arian al trono. Aveva dieci anni, quel piccoletto, lui era diventato sovrano alla sua età.
« Strana? Perché dici strana? » la ragazza gli rivolse un sorriso ingenuo, lasciando cadere a terra il suo artefatto e rivolgendo lo sguardo al cielo. Il sole le inondava il viso, sottolineandone i lineamenti fragili con il bacio dei suoi raggi e facendo risplendere d'oro la sua chioma ribelle. Il bliaut azzurrato, con pizzi rossi e bianchi, era il primo veramente suo e le maniche non risultavano ulteriormente un dilemma. Erano della lunghezza giusta e non l'intralciavano più nei gesti, rimasti comunque perfettamente in tono con la sua semplicità e la sua maldestria innate.
« Sei distaccata, inquieta, pensierosa. È successo qualcosa? » le chiese, prendendole la mano e carezzandola tra le proprie. Non riusciva a capire cosa la turbasse, ma aveva intuito che ci fosse qualcosa. Vissia aveva iniziato a sorridere meno, atteggiarsi più marcatamente da donna, dimenticando la parte di ragazzina la quale, Veer, era riuscito ad intravedere l'ultima volta prima di partire per Ctekratos. Aveva avanzato la richiesta di imparare a tirare con l'arco e cavalcare, di potersi muovere in completa solitudine anche all'esterno di Thora Koshra, e soprattutto che le fossero insegnate le conoscenze di base di Laukr. Quando aveva pronunciato il nome originario delle Terre Comuni, Veer non aveva potuto credere alle sue orecchie. Non si era capacitato di come fosse venuta in possesso di quell'informazione, e quando le aveva domandato in che modo lo avvesse appreso, lei era rimasta sul vago, atteggiandosi ad offesa per l'ignoranza imputatale anche dopo svariate settimane dal suo arrivo. Aveva fatto domande ed ottenuto risposte, questa era stata la sua giustificazione piccata e nebulosa.
« Ho parlato con Alamashan » gli rispose, tirando indietro la mano dalle sue cure ed accogliendo nel palmo il ciondolo al suo collo « mi ha detto tante cose, me ne ha fatte capire altrettante. Mi ha dato questa » mostrò a Veer la fenice. La collana, però, era già stata notata dal diretto interessato, il quale aveva preferito rimandare eventuali delucidazioni al riguardo finché non fosse stata lei stessa a dargliele. La fenice era il simbolo dei Grandi Sapienti di Prima Generazione, non aveva avuto dubbi su chi fosse stato il suo precedente proprietario, eppure non sapeva spiegarsi perché ora l'avesse Vissia. Sperava le avrebbe svelato quell'arcano, odiava anche solo pensare ci fossero dei segreti tra loro due. Non potevano permettersi di dividersi, lui non voleva permetterlo, ci sarebbero stati tempi, molto vicini, in cui avrebbero avuto bisogno l'uno dell'altro. Ne era conscio, fin troppo, nonostante non l'avesse ancora detto a lei per mancanza di una base solida su cui edificare la sua sensazione. Era una sensazione sciocca, niente di più. Un istinto.
« Me l'ha data per farmi ricordare della mia famiglia. Non so chi siano, l'ho dimenticato un'altra volta, eppure quando la sfioro so che esiste qualcuno, da qualche parte, impegnato ad amarmi »
« Sono contento tu sia consapevole di non essere sola » affermò, guardando l'animale forgiato nel metallo e poi il viso di Vissia, oscurato da un velo di severità inusuale per la sua dolcezza « Cosa ti ha detto Almashan? »
« Che sono un capriccio della Shàkbara e devo rimanere qui, accettando il mio passato smarrito e guardandomi avanti » incastrò i suoi occhi terrosi a quelli acquosi di Veer, poggiando un palmo sulla sua guancia ed accostandolo a sé « è quello che sto facendo, il mio essere strana è una conseguenza diretta della mia accettazione. Non voglio sentirmi inutile, non voglio essere il fiore da proteggere, la bambina da guidare, voglio vivere, Veer. Vivere come sono destinata a fare. Voglio che mi rendi parte del tuo mondo, ormai ci sono dentro. Voglio che non mi tratti al pari di una fanciulla in pericolo e sofferente, non lo sono, non più. Voglio che mi insegni ad essere qualcosa di più della stronza caduta qui per caso, impedita ed ignorante. Voglio essere una donna degna di questo nome. Lo puoi capire? Lo puoi fare? » inarcò il tono della sua voce, rendendolo cupo ed incisivo. Era stata zitta in quei giorni di stallo, nei quali aveva compiuto i primi passi per cambiare, modificare il suo approccio alla vita. Aveva sopportato le attenzioni eccessive di Veer, le sue domande, le sue preoccupazioni, aveva cercato di capirlo e c'era riuscita. Ora toccava a lui, capire lei. Accettare la sua fase di rinascita e scegliere se accompagnarla. Maitreya aveva scelto di accompagnarla, erano stati lui ed Almashan ad innescare quel processo e non l'avevano abbandonata a se stessa. Doveva decidere anche Veer, adesso. Se l'avesse avuto al suo fianco, cosa nella quale confidava ciecamente, avrebbero avuto una possibilità loro due, una possibilità di salvarsi e redimersi da un trascorso comune, disseminato di angoscia e sofferenza, ingiustizie ed angherie, una possibilità di rapportarsi come due adulti e non degli adolescenti in balia della vita. Se non l'avesse avuto al suo fianco, però, la scelta di distaccarsi emotivamente da Maitreya, proposta da lui ed accettata da lei, si sarebbe rivelata un fallimento ed un'inutilità. Allora non avrebbe avuto indugi su chi contare e a chi affidarsi, fisicamente e spiritualmente. Non avrebbe avuto un dissidio interiore, la necessità di scegliere tra la passione e la purezza. Si sarebbe abbandonata alla passione ed incendiato con essa il suo cammino. Sarebbe stato più facile, forse.
« Io lo posso capire e lo posso fare, Vissia. Dovevi soltanto dirmelo prima, credevo avessi bisogno di protezione, che fossi infelice e necessitassi delicatezza e premura. Vedo nei tuoi occhi un fuoco diverso, devo ammetterlo. La Shonè non si sbagliava con il coraggio, ce l'hai dentro di te » le sorrise, increspando gli angoli della bocca e toccando la mano liscia e calda ancora premuta sul suo zigomo. Avrebbe voluto avvicinarsi a lei e baciarla, prometterle di trattarla come meritava ed amandola del più incauto degli amori, ma si trattenne un'altra volta. Il ricordo di Solana, questa volta, non era l'unico motivo ad averlo fermato. Se voleva davvero lasciare a Vissia una libertà assoluta, pericolosa eppure importante, non poteva legarla a sé. Era lei a dover decidere quando e se mai avesse voluto averlo accanto.
« Grazie » sorrise a sua volta, allontanando il palmo e facendo scorrere due dita sulle labbra di Veer « forse è meglio se torniamo » propose, ma il Rekkar Rinnegato scosse il capo in segno negativo.
« Torna tu, ormai ne sei in grado. Io rimango qui, c'è ancora abbastanza sole. »
Così dicendo si mise in piedi, offrendo un appoggio a Vissia per rialzarsi, e fischiò per richiamare i due cavalli a sé. Non poteva trascurare una certa inquietudine nel lasciarla vagare per la Celibea in completa solitudine, nonostante negli ultimi due giorni l'avessero percorsa più volte. Rimaneva sempre la possibilità che ci fosse qualcuno, tra tutti quegli alberi, o qualcosa, più probabile qualcosa, pronto ad infastidirla o peggio. Al contempo, però, sentiva di doverla liberare dalle sue premure, glielo aveva implicitamente promesso ed era sempre stato un uomo di parola. Contravvenire a quanto detto, l'avrebbe irrimediabilmente allontanata da lui e questo non poteva sopportarlo, Vissia rappresentava quanto di più vicino a Solana ci fosse, insieme ad Arian. Perderla significava perdere di nuovo sua sorella, sua moglie, la sua stessa anima. Non avrebbe retto il peso di un'altra dipartita il suo cuore, lo sentiva già in affanno e pronto ad implodere, collassargli nel petto ed inondarlo del sangue mai versato negli anni passati. L'ultimo suo desiderio era perdere se stesso, aveva rischiato tante volte di farlo, ma qualcosa l'aveva sempre fermato. Le sue barriere, Vissia ed Arian, non potevano essere rotte, oltrepassate, dimenticate. Lo tenevano saldo in terra, sia con il corpo sia con la mente, senza di loro cosa sarebbe successo?
« Vedi di non fare notte, altrimenti ti vengo a cercare e poi è peggio per te » rise la ragazza, tentando di mascherare la propria goffaggine nel scalare l'altezza di Chara ed issarsi sulla sella. Si sistemò la gonna, inforcò più saldamente gli stivali nelle staffe ed accartocciò le redini in una presa di ferro. Non riusciva ancora ad ignorare la paura e l'agitazione che il cavallo le provocava, in ogni caso era un suo obiettivo riuscire prima a farla passare in secondo piano e poi a superarla, riuscendo nell'intento di cavalcare al pari di Veer. Leggiadra e non soltanto ciondolante.
« E tu vedi di non perderti, non ho voglia di venirti a recuperare » contraccambiò la risata e con una pacca vicino alla sella invitò Chara a muoversi. Confidava nella memoria di Vissia, era vero, ma quella cavalla poteva essere un aiuto in caso di smarrimento involontario o sviste indesiderate. Non per nulla aveva scelto proprio lei da dare a Vissia.
La guardò sparire nella foresta, portata via ai suoi occhi da un tronco più poderoso degli altri e cercò di non pensare troppo alla strada che avrebbe dovuto percorrere per tornare a Menastir. Ai cancelli l'avrebbero riconosciuta? Gli venne il dubbio, ma la somiglianza ineccepibile posseduta da Vissia con Solana sarebbe stato un lasciapassare non indifferente. E se non fosse bastato, poi sarebbe arrivato lui. Non aveva intenzione di dilungarsi troppo in mezzo al niente, i suoi ricordi, il suo passato, avrebbero preso il sopravvento dirottandolo in un crepaccio di disperazione. E di sicuro non era nella disperazione che voleva trascorrere quegli attimi in beato isolamento, tanto rari da non ricordarne neppure il sapore. Voleva semplicemente assimilare al meglio quanto appena saputo, ragionare su come affacciarsi alla nuova indole combattiva sbocciata in Vissia ed affinarla. Le sarebbe stata utile, considerando cosa li aspettava.
Come penso si sia notato, ho cambiato un po' le vesti grafiche di questa parte.
Ultimamente mi sto divertendo con la grafica, ho quindi pensato fosse carino provare qualcosa di nuovo anche qui, lasciar entrare una ventata d'aria fresca dopo 60 capitoli.
A poco a poco trasformerò i precedenti per uniformarli a questo nuovo aspetto, che spero sia gradito. Sono ancora agli inizi e di strada ne ho da fare, però da qualche parte si deve pur iniziare.Come sempre, un grazie enorme a chi continua a leggere. Non manca molto alla fine del primo libro!
Ayduin
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Le Cronache di Meknara - Sangue di Drago
Fantasia- IN REVISIONE - I Draghi si sono ormai estinti e con essi la loro Dinastia, di cui Veer e suo figlio Arian sono gli unici eredi ancora in vita. Pensavano di aver trovato rifugio da se stessi, dalla propria identità, una volta dispersi nel globo ter...