15.1 Cambiamenti

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« Dobbiamo parlare, sta passando troppo tempo » Maitreya raggiunse Almashan e cominciò a percorrere la strada insieme a lui, sudato per l'allenamento interrotto

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« Dobbiamo parlare, sta passando troppo tempo » Maitreya raggiunse Almashan e cominciò a percorrere la strada insieme a lui, sudato per l'allenamento interrotto.
Si stava esercitando in duello contro tre soldati più spavaldi degli altri, cercando di togliersi dalla testa il pensiero di Vissia e di Veer, quando il Grande Sapiente era apparso sotto il porticato, camminando sereno. Non aveva perso tempo, abbassate le armi e chiesta una tregua, si era prefissato l'obiettivo di convincerlo a discutere di politica. Quel fedele dei Celesti era davvero l'ultima persona con la quale avrebbe voluto trattare, gli dava l'impressione che si sentisse in diritto di guardarlo e considerarlo un neonato della vita, inesperto persino a parlare, e questo gli faceva ribollire le viscere. Ma discutere con Cassivellanus gli sembrava una via ancora più tortuosa da intraprendere, ci aveva tentato la sera precedente, a tavola, tra una portata e l'altra, ma il novello Rekkar aveva solamente saputo abbassare lo sguardo ed annuire, imbarazzato. Temeva di incutergli più timore di quanto non volesse.
Pertanto Almashan era l'unica soluzione, ma il suo procrastinare i doveri e godere dell'ospitalità di Thora Koshra infastidiva il sovrano, quasi si trovasse a casa propria. Ormai erano trascorsi giorni dal loro arrivo, si erano conosciuti abbastanza per i suoi gusti, potevano stipulare quell'alleanza o andarsene. Indugiare oltre era futile.
Il Grande Sapiente lasciò scorrere la vista sul prato verde del cortile, incorniciato dalle colonne che sostenevano le volte del porticato sui loro capitelli dai richiami dorici. Si portò lo mani dietro la schiena, allacciandole l'una con l'altra e sorrise a Maitreya.
« Siete impaziente » commentò, rallentando il passo fino a fermarsi dritto davanti alla seconda delle quattro arcate più grandi, situate singolarmente al centro dei rispettivi lati, le quali consentivano l'accesso allo spiazzo di terra. Ammirò gli uomini del re riprendere ad allenarsi tra di loro, giovani e spavaldi, incitati a dare il meglio dalla presenza di spettatori. Credevano di poter governare il mondo con il filo della spada, lo notava dal fuoco ardente dei loro gesti; ignoravano la forza di uomo al di fuori di quella bruta.
Erano sudditi di Maitreya, non c'erano dubbi.
« La guerra non aspetta » sentenziò, sentendosi irritato dall'atteggiamento pacato del suo interlocutore. Stavano per parlare di questioni importanti, questioni di sopravvivenza, eppure non pareva essere toccato dalla loro mole. I suoi occhi grigi traboccavano tranquillità, quelli di Maitreya strabordavano irrequietezza.
« Non sono le Manticore che dovete convincere ad aggiungersi alla vostra causa, vostra grazia » rispose alla provocazione, domandola e mettendola a tacere ed anzi, gettando i semi della propria « so di vostri parenti a Bernovem, di una lettera non ancora scritta indirizzata a loro, con all'interno una richiesta di unione. Ecco a chi dovete rivolgere le vostre premure. Cassivellanus è già dalla parte dei Fenrir grazie a Dhoveerdhan »
« Come fai a sapere di quella lettera? » sibilò Maitreya, accantonando la parte importante della frase e ripensando alla scusa che aveva avanzato a Veer per guadagnare tempo e nascondere Vissia.
Come diamine poteva saperlo lui? Un impulso animale di avventarsi contro la figura al suo fianco gli solleticò la mente, ma si trattenne per pura convenienza. Non sarebbe stato facile tenersi a fianco un alleato con un omicidio a suo carico; nonostante la mente lucida, però, gli puntò comunque lo spadone alla gola per mera intimidazione. Se quell'individuo aveva intenzione di impicciarsi nei suoi affari, allora doveva capire bene a cosa andava incontro e solo poi decidere la prosecuzione del suo intento o meno. Rinsaldò la presa sull'elsa, impugnandola con entrambe le mani e deturpò i propri lineamenti in una smorfia di fastidio.
« Detesto chi non sa tenere la curiosità al suo posto, ho ucciso per molto meno. Non voglio ingaggiare una rivalità contro di te, Almashan. Siamo dalla stessa parte, ma non per questo hai il diritto di burlarti di me » intimò al Sapiente, rimasto impassibile davanti al suo gesto improvviso. Forse se lo aspettava, per quanto aveva detto.
Maitreya sentì il vociferare dei tre soldati alle sue spalle iniziare a crearsi, aumentare di mole e farsi sempre più pressante, ma non si mosse. Le iridi opacizzate dalla rabbia erano rivolte soltanto verso Almashan ed alla sua reazione.
Il Grande Sapiente dapprima tentò gentilmente di abbassare con due dita l'arma poggiata sulla pelle del suo collo poi, vedendo la situazione rimanere immutata ed il metallo ritornare sempre in posizione, alzò lo sguardo al cielo, annoiato.
« Davvero? » chiese, ridacchiando tra sé e sé per la stupidità insita in tutta quella scena. Maitreya prendeva le cose troppo sul serio, questo era certo, ed i suoi sottomessi persino di più, pensò, indirizzando per un attimo l'attenzione nella loro direzione. Si erano fermati dal proseguire il loro teatrino di lotta e stavano scrutando la scena con troppo interesse.
« Sì, davvero. Non mi piacciono gli scherzi né gli impiccioni » rispose, arricciando le labbra ed indossando una nuvola grigia di superiorità fasulla. C'era qualcosa di strano nel volto rilassato di Almashan, qualcosa che non gli permetteva di avere la meglio su di lui, di prevaricarlo con la stessa facilità degli altri. Non sapeva darsi una spiegazione concreta ed inappellabile per quella sensazione, né in vero riusciva ad accettarla apertamente. Eppure rimaneva lì, incrostata sul fondo, a dargli fastidio e ricordargli di tutti gli errori commessi, dai più vicini ai più remoti. Lo faceva sentire sconfitto, un re costretto a guardare le macerie della propria terra, le pietre del suo castello crollate e corrose dalla pioggia, costretto a guardare la propria rovina impellente.
« Abbassala, non serve a niente » lo invitò Almashan, ostentando ancora la medesima pacatezza immutata.
« Dammi un buon motivo per farlo » lo canzonò, sperando di mettere una fine al contatto visivo, dargli le spalle e tornare ognuno alle proprie occupazioni, illeso. Ma Almashan non sembrava avere alcuna voglia di liberarlo, un leone aggrappato alla propria preda.
« O lo fai tu o lo faccio io » abbassò la voce ed accennò un sorriso saggio, arcano, il sorriso di un vecchio insegnante intento ad ammonire i suoi seguaci riguardo il calore delle fiamme. Un insegnamento unanimemente conosciuto ed accettato, al quale pochi furbi prestano la dovuta attenzione.
« E come vorresti... » Maitreya si convinse della necessità imminente di dimostrargli il metallo da cui era stato forgiato anni or sono. Un metallo duro, modellato per le catene ai polsi delle sue vittime, per il filo della scure battuta sulle loro teste, ma non riuscì a finire la frase che la spada gli scivolò dalle mani e rotolò a terra, lontana qualche metro di troppo per essere semplicemente scivolata.
Rivolse prima uno sguardo sbigottito all'arma, poi ad Almashan, il quale ricambiò, mostrandogli le fumose iridi e spegnendo il sorriso dietro una delle nubi intrappolate dai suoi occhi.
« Siamo dalla stessa parte » bisbigliò, azzardandosi persino a passare una mano tra i ricci del sovrano, avvicinandolo a sé « non farti schiacciare da tutto quello che stai vivendo, Maitreya. Non guardarti indietro, ci sarà tempo per farlo, ci sarà tempo per odiarti e odiare il mondo intero. Hai sofferto per tutta la tua vita in silenzio, inconsapevolmente. Fai nuovamente tacere questi sensi di colpa, non permettere loro né alla rabbia di prendere il sopravvento ed annebbiarti la ragione. Sei uno stratega in guerra, non c'è soddisfazione, o impegno, più grande di questo. »
« Non sai cos'ho vissuto, non lo sa nessuno » sputò nel prato, allontanando malamente le premure dell'uomo e donandogli il privilegio d'essere la sola vittima del suo rancore. Si abbassò a raccogliere la spada, digrignò i denti e tornò sui suoi passi, al centro del cortile.
« Vattene da qui, vai a fare il padre di qualcun altro. A me è bastato averne uno » disse soltanto, aspettando di sentire i passi del Grande Sapiente rimbombare nel porticato e svanire nell'esatta direzione da cui erano venuti.
« Come diavolo ha fatto » fece in tempo a dire uno dei soldati, accostatosi troppo incautamente a Maitreya, prima di trovarsi la gola recisa. Le gocce del suo sangue colorarono l'erba di una macabra sfumatura purpurea e scintillarono sulla lama dello spadone, irradiate dai raggi del tiepido sole della fine di Èrenev. Lo stesso sole che non pareva più interessato ad illuminare la salma candida del combattente, dagli occhi ancora sbarrati ed il petto della corazza schizzato di rosso.
« Qualcuno ha altro da aggiungere? » minacciò infine i due rimasti, senza neppure degnarli della giusta attenzione; quella era ancora tutta rivolta all'arcata che Almashan aveva attraversato, sottraendosi dalla sua ira senza conseguenze.

« Qualcuno ha altro da aggiungere? » minacciò infine i due rimasti, senza neppure degnarli della giusta attenzione; quella era ancora tutta rivolta all'arcata che Almashan aveva attraversato, sottraendosi dalla sua ira senza conseguenze

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora