10.5 Decisioni

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Veer rimase a scrutare la penombra a lungo dopo che Maitreya se ne fu andato, incerto se voler vedere Serhatan o meno

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Veer rimase a scrutare la penombra a lungo dopo che Maitreya se ne fu andato, incerto se voler vedere Serhatan o meno. Temeva, nel profondo, che gli avrebbe fatto pena, nonostante si fosse atteggiato come un idiota dal primo all'ultimo istante che lo avesse visto. Pugnalare Asper era stata una mossa così stupida ed avventata che, ne era certo, non fosse scaturita dalla sua mente. Poteva essere arrogante, egoista ed insopportabilmente borioso ma possedeva anche lui un cervello atto a ragionare, doveva sapere che quella sua mossa gli sarebbe costata la vita. Quindi per quale motivo farlo, se non sotto un esplicito ordine? Eppure Autybe non era sembrata a conoscenza di quel particolare, ed era questo che non gli permetteva di avere un quadro completo di come avessero agito, questo ed anche la presenza di tutti i ragazzini che si erano portati appresso. Quasi di sicuro erano serviti come copertura, mischiarsi ad un mucchio di giovani sporchi ed indifesi per infiltrarsi indisturbati agli occhi di chi li notasse era un'idea notevolmente plausibile. Una sola cosa era certa però: qualcuno aveva tradito Maitreya quella notte, forse anche più di una persona, la scia di guardie trovate immerse nel loro stesso sangue parlava chiaro. C'era qualcuno dietro quelle morti, qualcuno che ancora non riuscivano ad identificare e che probabilmente Serhatan non conosceva, perchè altrimenti sarebbe bastato un solo nome a far cessare le sue pene. Un nome che, se l'avesse saputo, sicuramente gli sarebbe uscito di bocca, tra un grido e l'altro, risparmiandogli molto tempo tra lo scivolare dolorosamente verso la fine dei suoi giorni ed il rendersi conto che non fosse ancora giunta completamente la sua ora. Ma dai gemiti che provenivano sommessi da dietro l'imposta scura, doveva essere vivo e quindi tutt'ora necessario. Lui era l'unico collegamento diretto con la corte di Ferni ed i piani che in essa crescevano come rovi, avrebbe incontrato la morte una volta che tutto quanto si fosse concluso o che avesse deciso di decantare ogni dettaglio di cui fosse a conoscenza, non prima. Maitreya era dall'indole impetuosa e turbolenta ma non si poteva definire uno sprovveduto, era conscio della sua importanza. Questo però non gli aveva impedito di vendicarsi, almeno in parte, del torto subito.
Veer sospinse la porta e si affacciò all'interno, convinto di voler effettivamente incontrare il volto del cugino e constatare come fosse ridotto. La stanza era buia, si intravedevano appena i bagliori delle torce ormai consumate che pendevano dai ganci alle pareti e l'ombra più scura del corpo di Serhatan, riversa su un bislungo tavolo in legno. Aveva le mani bloccate ad esso da pesanti morse in ferro battuto e tremavano incontrollatamente, comandate da spasmi di dolore causati con ogni certezza dalla mancanza di alcune dita. Lo vide sussultare più energicamente quando si accorse della nuova presenza nella stanza e Veer ebbe la tentazione di girarsi ed andarsene, ma qualcosa lo invitò a rimanere ad a godere, per una volta tanto, della sofferenza altrui. Si avvicinò a quel che rimaneva del fuoco di una fiaccola e vi soffiò sopra delicatamente, rinvigorendo le fiamme con il proprio fiato. Compì il medesimo rituale anche con le altre rimanenti ed in pochi istanti l'intero luogo fu di nuovo rischiarato da un tepore impercettibile. Rivolse lo sguardo al cugino e vide il bianco degli occhi sporcato da rosse e scure macchie di sangue: doveva aver urlato così forte che per lo sforzo si era fatto scoppiare i piccoli vasi sanguigni che circondavano il bulbo, ed ora aveva tutto l'aspetto di un uomo prossimo alla morte. Le labbra erano secche ed intervallate da spaccature rossastre, la pelle pallida e sudata ed i capelli appiccicati al corpo seminudo. Scorse di sfuggita, tra i capelli ramati, i solchi lasciati dal flagello sulla schiena e si sentì colpevole di non provare alcun rimorso per la sua condizione. Percepì le iridi di Serhatan seguirlo in ogni sua mossa e maledirlo silenziosamente. Era evidente che si stesse chiedendo perchè proprio Veer fosse venuto fin lì. Un primo istinto gli impose di parlare, spiegargli che se si trovasse al suo cospetto non era certo perchè l'avesse voluto. Ma una voce interiore gli suggerì di tacere e bearsi del mutismo che il cugino pareva voler perpetrare. Era in assoluto l'unica volta in cui l'avesse visto così silenzioso e ridotto alla miseria, a pensare ai modi usuali in cui s'atteggiava Veer non trattenne un sorriso. Per cinque anni aveva conosciuto l'impossibilità di vendicarsi sul prossimo a proprio piacere e per altrettanti era stato convinto che quello fosse un modo migliore di risolvere i conflitti, ma in una tale circostanza si dovette ricredere. Squarciare la pelle ai propri antagonisti in prima persona era lecito, giusto e di pratica comune, come lo era uccidere, combattere e possedere armi. Il mondo in cui era stato gli risultava astruso, visto dall'ottica della sua terra, insensato ed inconcludente.
« Non parli più? » lo infastidì, sospinto da un rovente desiderio di sentirsi nuovamente superiore a Serhatan, il figlio bastardo di una moglie infedele, una posizione infima già a primo impatto « l'ultima volta che ci siamo visti eri così ciarliero. » gli scoccò un'altra occhiata prima di girare per la stanza in cerca di qualcosa che lo ispirasse. Voleva lasciare un segno che anche lui fosse passato, un segno che stesse ad indicare che stava raccogliendo i cocci del suo animo ed riassemblandoli, più compatti e resistenti di quanto non lo fossero precedentemente.
Scorse un baselardo poggiato senza uno scopo nei pressi del bordo del tavolo ed una scintilla attraversò l'azzurro delle iridi di Veer. Prese il corto e tozzo pugnale e lo pose ad arroventarsi sulla fiamma di una fiaccola vicina.
« Non penso a Maitreya dispiacerà. » ragionò, osservando la lama che lentamente si trasformava in un pezzo di metallo incandescente. Quando fu certo che si fosse scaldata abbastanza, la tolse in un gesto repentino, tanto veloce che Serhatan non ebbe neppure il tempo di implorare pietà. Sentì il metallo fondersi con la pelle della guancia e la pelle sciogliersi a contatto con il metallo, non ebbe altra scelta se non quella di sprigionare un viscerale grido di strazio. Veer lo tenne premuto saldamente, aumentando talvolta la pressione e tenendo ferma la testa del cugino affinchè non si muovesse troppo. E quando ebbe saziata la voglia di sentirlo lamentarsi, si avvicinò all'orecchio che gli rimaneva.
« Questo è per mia moglie » bisbigliò, assuefatto dall'ira dei ricordi. Allentando la presa per dargli l'illusione che il peggio fosse passato, gli conficcò infine, senza preavviso, la lama nel dorso della mano, attraversandolo fino a raggiungere il legno « questo invece è stato per puro piacere. » gli passò le labbra sulla fronte imperlata di sudore e s'incamminò verso l'uscita, dando le spalle alle suppliche inutili che avevano iniziato a sprigionarsi dalla bocca di Serhatan. Alla fine era persino riuscito a farlo parlare. 

 

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora