Dolce Martina
È sempre la stessa stupida storia. Non so perché faccio così. Non ha senso, ne sono consapevole, non sono completamente idiota. Non serve. Non aiuta. Piangere, intendo. Dovrei solo sorridere e pensare al lato positivo di ogni singola faccenda, a ogni azione bella, a tutto ciò che mi rende felice, invece mi concentro sulle cose brutte, sul male, sugli errori. Mi sento un'idiota. Un'incapace, una stupida bambina di cinque anni: i bambini scappano dalle difficoltà, non le quindicenni. Eppure io scappo, io che mi atteggio sempre da ragazza matura, io che voglio dimostrare di essere una tosta... In realtà ho paura della mia stessa ombra. Ma tu questo già lo sapevi, tu mi conosci.
La paura di sbagliare era talmente alta che ho sbagliato tutto. Anzi, non tutto. Forse ho giocato quasi decentemente, però sono delusa dalle mie azioni, dai miei pensieri, dalle mie reazioni. Paura. Questo avevo negli occhi. E con paura ho giocato. Sono entrata in campo già convinta di fare schifo, nel profondo questo era il pensiero dominante. L'unica cosa che odio più della paura è vedere pietà negli occhi delle persone intorno a me. Compassione. Il giudizio degli altri mi terrorizza. Non lo sopporto. Andrea faceva quasi il carino, così come le mie compagne. Erano tutti a dirmi: «Dai, Gió, sappiamo che sei capace, ci fidiamo di te, ce la puoi fare...». E altre banalità del genere.
Andate tutti a fanculo, Cristo! Lo so anch'io che ce la posso fare, secondo voi perché sono così incazzata con me stessa? Perché mi prenderei a sberle? Eh?! Perché non ho fatto quello che avrei potuto fare. Avrebbero dovuto urlarmi dietro qualche rimprovero per spronarmi e non tentare inutilmente di consolarmi. Sarei stata meglio. Le lacrime erano insensate, ma non riuscivo a smettere: ogni volta che incontravo lo sguardo di qualcuno, di chiunque, scendevano di nuovo. Sarei stata meglio se avessi smesso di pensarci, se non avessi continuato a riportare nella mia mente l'idea del fallimento. Dio, per una volta che mi danno l'opportunità di dimostrare qualcosa... Forse è stata anche un po' colpa loro, per come mi hanno sempre trattata: considerata la riserva, e quindi senza pesi sulle spalle. Ora invece tutto dipende da me. Senza di me non possono giocare e io non sono sicura di essere pronta. Non posso continuare così. Devo reagire. Domani ho un'altra partita. Posso giocare bene. Devo giocare bene. Giocherò bene.
Ah... Sì, faccio il libero, adesso.
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Teen FictionGiorgia è una sedicenne della provincia di Milano, scrive a Martina, la cugina morta pochi mesi prima in un incidente d'auto. Martina diventa così "un diario", un'amica invisibile che accoglie tutte le confessioni e gli sfoghi di Giorgia. La prima l...