20.DOVE SEI?

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NATHAN POV

Undici fottutissimi giorni, sono passati esattamente undici maledetti giorni da quando non vedo e non sento Lara. Dal giorno in cui è fuggita dal mio locale, non ho fatto altro che piazzarmi sotto casa sua, nella speranza di incontrarla e potermi spiegare. Ovviamente ho provato a mettere pressione a Nina, la quale è riuscita solamente a dirmi che era fuori città e che non conosceva la sua destinazione, ma la cosa più strana è che insiste nel dirmi che neanche lei la sente da tutti quei giorni. Insomma, quelle due sono inseparabili, come posso crederle? Sono così frustrato, da essere arrivato al punto di far mettere il suo telefono sotto controllo da un uomo di mia conoscenza, in modo tale che possa localizzarla una volta che finalmente lo avrà acceso. Ho anche chiesto informazioni a tutti e nove gli aeroporti di Londra, ho controllato personalmente tutte le liste passeggero, ma nulla di nulla. Pare essere scomparsa nel nulla ed io mai mi sono sentito così impotente in vita mia.

Dovrei pensare agli affari, dovrei pensare a prendere determinate scelte che potrebbero cambiare in modo drastico la mia vita, ma nulla la mia mente è completamente annebbiata da quella donna così ostinata e testarda. Il guaio è che mi sento in colpa per come l'ho mandata via, per come mi sono rivolto a lei, ma ero così arrabbiato, così stanco che tutti gli sforzi che stavo facendo per cambiare fossero stati messi così duramente alla prova da lei. Capisco la sua paura del giudizio pubblico, ma abbiamo deciso insieme di vivere la nostra storia e mentire o nasconderci era come cadere nel ridicolo. Resta il fatto che devo trovarla, devo parlarle e se proprio non vuole più vedermi deve dirmelo guardandomi negli occhi.

Sono al Silver da ore ormai e non ho concluso nulla così decido di sistemare tutte queste carte e andare via. Proprio mentre sto raccogliendo la giacca dalla sedia, la porta del mio ufficio si spalanca e fa il suo ingresso una testa rossa con tutta la sua arroganza.«Sarah?» la chiamo cercando di contenere i nervi.

«Si, sono io, Nathan» risponde con tutta la calma del mondo.

La osservo mentre posa la borsetta sul tavolo e mentre si passa una mano dalle unghie laccate tra i capelli.«Cosa ci fai qui?»

Lei, con aria seducente posa i palmi delle mani sulla superficie trasparente della mia scrivania e si protende in avanti. «Sono venuta a salutarti, ti dispiace?» mi chiede con un sorriso strafottente e giuro che se non fosse una donna, mi sarei divertito volentieri a toglierglielo dalla faccia.

«Sarah, vai a casa» le dico serio, mentre mi infilo la giacca.

«Tesoro, non è carino da parte tua cacciarmi in questo modo.»

Ignorando i suoi tentativi di istigazione, afferro la valigetta dei documenti e con tranquillità comincio ad avvicinarmi alla porta. «Io e te non abbiamo nulla da dirci, per cui gentilmente vai fuori di qui» provo a concludere aprendo la porta e facendole segno di uscire.

Lenta e sinuosa, almeno questo è quello che vorrebbe sembrare, mi si avvicina lasciando solo un passo di distanza tra noi e comincia ad accarezzami la cravatta. «Nathan, Nathan, Nathan. Non puoi trattarmi così, in realtà vengo per conto di mio padre, ha bisogno di parlarti.»

Nero per quest'ultima informazione, le scaccio la mano annullando ogni sorta di contatto tra noi e la guardo in cagnesco, mentre sento la rabbia ribollirmi nelle vene. «Io e tuo padre abbiamo già parlato e mi sembrava che avesse capito quello che gli ho chiesto.»

«Certo, ma le cose pare siano cambiate e devi affrettarti, almeno questo è quello che mi ha chiesto di comunicarti nel caso avessi rifiutato il suo invito.»

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