Quella sera, Joe arrivò tardi per cena, ma sentì a malapena la sgridata della madre.
Poppy neanche mangiò. Era ferita, abbattuta e si sentiva sola come non mai.
Luke e Frank cenarono insieme al Feather: avevano un argomento importante di cui discutere, un argomento dai capelli rossi che proprio in quel momento stava rientrando a casa, ancora euforico dal pomeriggio passato con i suoi nuovi amici, la famigerata banda di Dick Peters, i bulletti della scuola. Si erano mostrati pericolosi, nel tempo, tra violenze di vario genere su ragazzi e ragazze, vandalismo e, cosa che più di tutte spaventava Frank e Luke, giri di droga non da poco.
- È la sua vita, Frank. Noi non possiamo fare più di tanto.- Disse Luke, poco convinto. Frank scosse la testa, fissando il vuoto.
- Siamo i suoi migliori amici. La sua vita influenza la nostra.
- Noi non possiamo neanche lontanamente immaginare cosa stia provando. I genitori li abbiamo ancora, io ho duecento fratelli, tu hai tutta la tua famiglia che vive a Dawson. Lui ha solo suo padre. Quando morirà, non avrà più niente.
- Continuando così rischia di non avere più niente anche prima che suo padre muoia.
Scese il silenzio, mentre addentavano svogliatamente il cheeseburger. Per radio passava Stand by me degli Oasis.
- Non capisco, Luke. Perché la nostra amicizia non gli basta più?
- Lui non ha bisogno di amicizia. Ha bisogno di sentirsi normale. Noi sappiamo la sua storia, conosciamo tutti i suoi segreti e le sue paure, e agiamo di conseguenza. Te lo ricordi quel film francese con il riccone paraplegico?
- Quasi amici?
- Quello. A lui piaceva la compagnia del nero perché si dimenticava della sua disabilità. Non lo trattava come una statua di vetro. Noi, qualunque cosa facciamo, non possiamo dimenticarci di quello che sta passando, mentre la banda di Dick Peters invece se ne frega altamente. Lo fanno sentire normale. Nel tempo che passa con loro, lui non è il piccolo Ridley che tutti noi cerchiamo di proteggere, è un ragazzo che esce col suo gruppo di amici e fa un sacco di cazzate di cui probabilmente si pentirà, ma che sul momento lo fanno sentire il re del mondo.
- We can be heroes... just for one day...- Canticchiò Frank, con voce tetra, mentre Bowie gli faceva il coro dallo stereo.
- Esattamente. Solo per un giorno.
- Ma noi cosa possiamo fare per lui? La logica, e la legge, a dirla tutta, direbbe di rivolgerci ai servizi sociali...
- Tu avresti il coraggio di farlo?- Frank non rispose.
- Questa cosa è troppo grande per noi, Luke. Abbiamo sedici anni.- Disse poi, con una calma inquietante.
- E cosa... cosa pensi di fare? Chiedere a suo padre? Gli distruggiamo gli ultimi mesi di vita, begli amici che siamo per Ridley... O a un prof? Fanno a gara a chi fa più zerbino alla preside, se denunciassimo una cosa del genere altro che aiutarlo, lo spediscono in riformatorio.
- Non tutti i professori sono così.
- Pensi alla Crubatzkij?
- Colpito e affondato. Giovedì dopo scuola la blocchiamo e le parliamo. Oltretutto, voi due sembrate avere un ottimo rapporto... - Aggiunse, con un sorriso malizioso. Luke abbassò gli occhi, arrossendo un po'.
- Vada per parlarne con la Crubatzkij.
- Dove sei stato tutto il pomeriggio?- Lo accolse il padre, quando entrò in casa.
- In giro, 'pa.
- Ti ho lasciato un po' di lasagne, se vuoi te le faccio scaldare...
- Non ho fame. Vado a dormire.
- Non passi neanche a salutarmi?
No. Ridley non voleva passare a salutarlo. Non voleva vedere la sua pelle sempre più bianca e tirata e la sua testa, una volta coperta da una massa inverosimile di ricci rossi, ridotta a una palla da bowling dalla chemio.
L'avevano dimesso dall'ospedale un mese prima, con la dichiarazione che non c'era più nulla da fare. Gli avevano dato cinque mesi di vita. Uno era passato, e Ridley aveva paura che ogni giorno potesse essere l'ultimo. A quel punto, non avrebbe più saputo cosa fare. Sua madre era morta suicida dieci anni prima, preda di una depressione che l'aveva resa meno dell'ombra di ciò che era, e ora anche il padre l'avrebbe seguita. La realtà era troppo pesante per lui.
I suoi amici non facevano altro che mostrarsi molto dispiaciuti e comprensivi, così come i medici, gli insegnanti e chiunque conoscesse la sua storia. La banda di Peters lo faceva sentire normale. Quel giorno, aveva provato la sua prima pasticca. Neanche sapeva descrivere come si era sentito, poteva solo dire che finalmente si era sentito bene. Tra le luci che gli esplodevano davanti agli occhi, aveva visto la sua famiglia, il suo cane morto l'anno prima, aveva sentito la risata della madre. Ma, stranamente, questo non l'aveva fatto sentire male, non subito, almeno. Si era sentito felice. A posto. Una ragazzo normale con una famiglia normale. Ma ora, mentre l'effetto scemava, si sentiva più piccolo e solo che mai.Tutti questi pensieri turbinavano nella sua testa mentre, stremato, su gettava sul letto senza neanche spogliarsi. Forse non in quel modo, non in quell'ordine, né con quelle esatte parole. Non avrebbe mai ammesso di sentirsi piccolo e solo. Eppure era ciò che era.
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Credevamo nei sogni
RomantizmA volte succedono cose strane. Credi che la tua vita sia perfetta, poi la trovi, quella persona, e capisci quanto fosse vuota, prima. E allora inizi a crederci, a crederci davvero, a credere nei sogni. *storia ancora in lavorazione. È possibile che...