Thànatos era lì, nel castello dorato, fingendosi Poseidone e tutti erano tranquilli e ignari di ciò che stava succedendo.
Kalòs discuteva con Paìspede e Actèlia della mia fuga, era preoccupato perchè non sapeva dove fossi andata, soprattutto perché ormai ero una sirena e qualcuno avrebbe potuto vedermi.
Avrei voluto urlare.
Ero sola, al buio e l'unica luce che vedevo era quella del fermaglio a forma di conchiglia.
Piansi.
Le lacrime risalivano velocemente sulla superficie, finché una, si illuminò e uscì per una fessura della cella.
Non ci feci molto caso, così misi via il fermaglio e mi stesi per dormire.
Era notte fonda e, come raccontano alcuni abitanti notturni degli abissi, un piccolo pallino di luce si avviava verso il castello.
Mi svegliai d'improvviso.
Sentivo come se qualcuno mi stesse puntando una luce verso gli occhi.
Era il fermaglio.
Illustrava quel piccolo pallino luminoso che avanzava verso una camera. Quella di Kalòs.
Il tritone era sveglio e con grande sorpresa prese la luce fra le mani.
Era una lacrima, la mia.
Kalòs cominciò a pronunciare il mio nome; mi vedeva.
Gli spiegai tutto e gli dissi anche di Poseidone.
Stava venendo a prenderci.