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MYA


Ero chiusa in camera, ma riuscivo comunque a sentire mia madre che urlava al telefono, sembrava arrabbiata.

Mi avvicinai alle scale senza far rumore e mi affacciai sul salone, mia madre faceva avanti e indietro con il telefono all'orecchio mentre con un dito si sistemava gli occhiali da vista che, come al solito, le scivolavano sul naso.

«Non alzare la voce con me, Robert. La colpa non è mia se sei scappato con una quindicenne francesina con gli ormoni impazziti, non è mia se eri infelice e non è mia la colpa se nostra figlia sta dimagrendo fino a sparire, è terribile, mi sono data la colpa tutti questi anni... ma ho capito che non sono io il mostro Robert, Madison non si è tolta la vita per colpa mia.» Si mise a piangere e a singhiozzare al telefono.

Mio padre era uno scrittore, o meglio, era anche uno scrittore oltre che ricercatore marino. Lui mi ha insegnato a credere in me stessa.

Quando ero piccola, mi portava a vedere il tramonto sul mare, e quando trovava l'ispirazione, prendeva il suo taccuino e si metteva a scrivere. Mi piacevano le sue parole, quando mi leggeva i suoi libri, mi sembrava di essere su un aeroplano che sorvolava sul mare, nel deserto del Sahara, a visitare la tomba di Tutankhamon o a combattere con qualche mostro marino negli abissi dell'oceano.

Grazie a lui, capii che leggere era proprio questo: viaggiare.

«Con il foglio puoi essere sincera» mi ripeteva ogni volta «Lui non ti giudica, lui rimane in silenzio e lascia che racconti, per poi poter rimembrare tutto, quando i ricordi avranno lasciato la tua mente, troppo umana, per memorizzare tutti i momenti.»

Mi guardava e mi sorrideva, mi diceva che ci sarebbe stato sempre per me. Mi ripeteva che avevo il diritto, ma soprattutto il dovere di credere in me stessa. «Nessun sogno è così irrealizzabile quando ci credi con tutta te stessa. Quindi, amore mio, credi sempre nei tuoi sogni, siano essi lontani mille miglia, anche quando sembreranno così lontani da diventare invisibili, se continuerai a camminare, prima o poi arriverai a loro, credimi. A chi ti dirà che i sogni non si realizzano mai invece, rivolgi solo un sorriso: chi ti dice ciò, ha creduto poco nei sogni che aveva e si è arrestato prima di arrivare, e vorrebbe vederti crollare proprio come ha fatto lui. Tu sorridi, sorridi sempre piccola mia, non solo perchè sei bellissima, ma perchè la vita ti aspetta, l'universo ha bisogno di persone che credono e non di persone che pensano di credere.»

Papà non era più a casa. Tre anni prima c'era stato uno scambio culturale dalla Francia, sarebbe dovuta venire una ragazza francese da noi per un semestre. La aspettammo all'aeroporto e quando atterrò il volo, finalmente la vedemmo arrivare con la sua gonnellina svolazzante, la magliettina quasi trasparente che lasciava intravedere i capezzoli inturgiditi, i capelli nero corvino e gli occhi sognanti, un sorriso smagliante, valorizzato da un rossetto bordeaux. Papà le aveva sorriso subito, mamma sembrava quasi imbarazzata anche solo di stringerle la mano.

«Amèlie, molto piascere.» Era tutto uno "sh-sh", le parole le uscivano tutte più levigate di quello che erano, anche quelle più gutturali, in bocca a lei, sembravano dolci come lo zucchero.

Anche se era un po' strana, a me piaceva Amèlie. Era sempre sorridente e mi parlava spesso della Francia: «La Franscia è qualcosa di spettacolare. Credimi. Anche se da voi il scibo è diescimila volte meglio.» Ridevo sempre quando parlava. «Il mio ascento è così terribile?» «No anzi, mi piace» rispondevo. Ero sincera, mi piaceva la sua parlata, mi sembrava di essere in altri posti, e a me, andavano bene tutti.

Mi raccontava che da quando aveva conosciuto mio padre, sognava anche lei di diventare una ricercatrice marina e gli chiedeva spesso chiarimenti sul lavoro che svolgeva, tanto che papà, qualche volta, se la portava sul campo di lavoro. Non aveva mai portato la mamma, ma d'altronde, lei non se n'era mai interessata più di tanto. Da quando era venuta a mancare mia sorella Maddy, lei lavorava tutto il giorno e quando tornava a casa, si metteva a correggere i compiti degli alunni senza darsi pace, nelle poche ore che le rimanevano libere, organizzava consigli di classe straordinari per parlare con i genitori della rendita scolastica dei figli. Papà aveva regalato uno dei libri che aveva scritto, ad Amèlie, lei se ne era innamorata perdutamente, non faceva altro che parlarmi di papà, ma a me non dava fastidio, anzi, mi faceva piacere che qualcuno apprezzasse le doti di papà. In un solo semestre diventarono sempre più affiatati, finchè papà aveva invitato Amèlie a cena fuori, una cena a lume di candela mi avevano detto, alla mamma invece dissero che era solo una cena di lavoro, che Amèlie era interessata alla ricerca di alghe particolari e che lui voleva riuscire ad indirizzarla, e mamma non ci aveva visto niente di male.

REMEMBER ME ✩CARTACEO✩Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora