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ASSO

«Asso, sua madre non ti deve vedere. Ti potrebbe riconoscere, e noi non vogliamo questo giusto? Vogliamo far andare tutto nel verso giusto.» mi continuava a ripetere al telefono, ma non gli stavo dando troppo peso.

«Si. Ma è finita all'ospedale. È sola, vulnerabile. Potrebbe essere il momento giusto per estrapolarle qualche informazione.» dissi mentre mi versavo le uova e il latte nel frullatore.

«È troppo rischioso Asso. Cazzo ma è possibile che non ti manco? Non vuoi vedermi fuori da questa merda?»

Forse non uscirai mai del tutto da quella merda, amico.

«Non ritirare in ballo questa storia del mancarmi. Io vado, è inutile stare qua a parlarne. Lo conosco meglio io dei medici quell'ospedale. O ti sei dimenticato che ho fatto le corse per venirti a trovare quando ti hanno ricoverato d'urgenza per overdose?» non avevo intenzione di dargliela vinta. Sarei andato in quel fottuto ospedale e non c'era niente che mi potesse fermare.

«Abbassa le penne. Lo sai io cosa rischio vero, figlio di puttana? Rischio tutto. E se io vado a fondo, tu vieni con me.»

«Risparmiati le minacce, ti prego. Faccio di testa mia. Del resto... non penso che tu sia nella condizione di potermi fermare, o sbaglio?» lo provocai mentre accendevo il frullatore.

«Fanculo.» disse un attimo prima di attaccare.

Sì infatti, vai a fanculo.

***

Nel retro dell'ospedale c'era una porta verde che dava su uno scantinato abbandonato. Non avevano intenzione di sistemarla a quanto pare, erano anni che era ridotta in quello stato. Non serviva nemmeno forzare la serratura: le catene tenute chiuse con un lucchetto enorme non erano strette bene, bastava spingere un po' la porta perchè si creasse una fessura abbastanza grande da far passare un uomo. Da quella topaia piena di ragnatele e macchinari non funzionanti, si poteva salire indisturbati fino al quinto piano con delle scale interne, nessuno usava l'ala nord: i medici più vecchi sapevano che non era a norma e quindi avevano sbarrato quella parte di struttura, i medici nuovi invece, non sapevano dell'esistanza di quest'ultima. Dopodichè bisognava prendere le scale antincendio. Una volta arrivato all'ottavo piano, che era quello dove si trovava Mya, mi arrampicai fin sopra la finestra. Era buio pesto, l'orario di visite si era concluso da un pezzo, ma almeno ero sicuro che la madre non mi avrebbe visto. Mi affacciai e la vidi attraverso il vetro. Dormiva beatamente.

Mi faresti un gran favore se ti svegliassi ora, ragazzina...

Bussai alla finestra in modo quasi impercettibile, poi insistetti più forte, fino a quando lei non si svegliò di soprassalto spaventata e mi guardò. Sembrava non capire la situazione, ancora insonnolita. «Hai deciso di aprirmi, o mi lasci congelare al freddo?» dissi a voce alta, in modo che il suono le arrivasse nonostante il vetro spesso.

Lanciò il lenzuolo ai piedi del letto e poi si stropicciò gli occhi con entrambe le mani, e alla fine si alzò dal letto con la flebo attaccata alla mano. Venne verso la finestra e tentò di aprirla, era pesante per lei, ma dopo il terzo tentativo mentre la vedevo sbuffare e imprecare, questa si aprí e lei mi sbraitò contro «Ma che diavolo ci fai tu qua?»

«Sì, anche io sono felice di vederti Mya.»

«Tu sei completamente andato fuori di testa... sono le due passate, non avrei nemmeno dovuto aprirti. Dimmi che ci fai qui. Cosa vuoi?»

«Potrei farti la stessa domanda. Che cazzo ci fai tu in questo posto di merda eh? Vuoi mandare a puttane il corso?» dissi mentre scavalcavo il davanzale ed entravo nella sua camera. «Ma che... che puzza di muffa cazzo. Come fai a dormire qua dentro? Sembra il posto dove si conservano formaggi.» si mise seduta sul letto.

REMEMBER ME ✩CARTACEO✩Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora