La casa vuota

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"Viviamo in una placida isola di ignoranza,

nel mezzo del nero mare dell'infinito,

e non era destino che navigassimo lontano."

Dal racconto Il richiamo di Cthulhu

di H. P. Lovecraft.




Andai in quella casa proprio perché era evitata da tutti. Sfidai le sciocche superstizioni dei miei compaesani e mi avviai solo, a piedi, in aperta campagna, in un grande spiazzo isolato pieno di erbacce, lontano da tutto e da tutti. Camminavo con passo spedito sotto la luce cremisi di un tramonto rosso vivo, che lì in mezzo al nulla pareva potesse tingere di sangue il mondo intero. Correvo quasi, non perché fossi ansioso di arrivare a destinazione, ma perché in cuor mio temevo di fare dietro front da un momento all'altro. Mi ritrovai di fronte alla casa prima del previsto: procedevo a testa bassa, ruminando pensieri tanto incoerenti quanto spaventosi, quando alzai il capo per interrompere quel flusso di idee malsano, e la vidi.

Era una vecchia costruzione dei primi del novecento, di grandi dimensioni, alta due piani e col tetto a spiovente. Alcune crepe, piuttosto lunghe e profonde, la attraversavano in più punti, simili a cicatrici; i vetri delle finestre erano opachi a causa della polvere depositatasi nel corso dei decenni, e pur avvicinandosi non era possibile scorgere nulla dell'interno. In fondo era solo un vecchio rudere, ma c'era un particolare stravagante che finì con l'acutizzare l'inquietudine che già faticavo a tenere a bada.

Mancava la porta d'ingresso, e quella zona di vuoto parve ai miei sensi sovraeccitati una bocca spalancata, pronta ad inghiottirmi. Al di là della soglia vedevo solo buio, quasi che i raggi del sole morente evitassero di penetrare lì dentro. Che fine aveva fatto quella dannata porta? Mi dissi che molto banalmente qualcuno l'aveva rubata, forse per usarla per la propria baracca, o per rivenderne il legno antico, magari pregiato. Forte di quei ragionamenti sensati mandai al diavolo i miei tentennamenti, ed entrai.

All'interno l'oscurità non era poi così fitta, l'occhio si abituava presto a quella specie di penombra; più che altro sembrava che la poca luce che riusciva a filtrare fosse più debole del normale. Sapevo che la casa era abbandonata da più di mezzo secolo, eppure non mi sarei mai aspettato una tale quantità di polvere: era ovunque, in certi angoli si erano formati cumuli grigi alti decine di centimetri. Aiutato dalla luce del cellulare, osservavo affascinato il pulviscolo volteggiare nell'aria scura, come se danzasse. Mi tornarono in mente le storie pazzesche che si raccontavano in paese, tutte insieme, nessuna delle quali credibili, vere e proprie stupidaggini... Ma diventavano tutte straordinariamente possibili guardando l'assurdo spettacolo che offriva l'interno di quella catapecchia.

Era vuota, nel senso più vero del termine. Non solo mancavano i mobili, ma addirittura le pareti che avrebbero dovuto delimitare le varie stanze, addirittura il divisorio fra i due piani, perfino le scale: lì non c'era nulla, se non la polvere onnipresente. Com'era possibile? Di quella costruzione non restava che un enorme involucro vuoto, era pazzesco! Ammesso che tanto tempo prima ci fosse stato un trasloco, che senso aveva abbattere tutte le mura e il pavimento del secondo piano? E poteva una casa sopravvivere ad una tale opera di demolizione senza collassare su sé stessa? E a quale scopo? Scrutai con attenzione ogni angolo di quel rudere aiutandomi con il display del telefono; stetti col naso per aria, fissando stupito scorci del lontanissimo tetto (lì, dal piano terra!), ma in quell'atmosfera sempre più tetra e opprimente non riuscii a trovare nulla, se non polvere e oscurità.

Stavo per andarmene, quando su una parete notai delle scritte fatte col gesso, semicancellate dal tempo, ma ancora leggibili. Erano una serie di complesse formule matematiche, tracciate con una grafia minuta e febbrile, come se chi le avesse trascritte fosse preda di una certa urgenza, o vittima di un delirio. La lunghissima equazione ricopriva circa metà del muro, ed era per me incomprensibile come una lingua straniera. Riuscii però a notare che non aveva risultato: dopo linee e linee di formule astruse si interrompeva bruscamente con un punto interrogativo; il risultato di quell'equazione restava un mistero, proprio come la casa che l'ospitava.

La casa sull'abissoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora