Il richiamo dell'abisso (parte 1)

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Gli incubi non finivano al risveglio. Semmai la realtà di tutti i giorni era ancora più atroce, più insopportabile. Perché era vera, concreta, tangibile. Non potevo più mentire a me stesso, le illusioni erano ormai esaurite, e da tempo. Un'attrazione inspiegabile, un richiamo muto ma irresistibile, mi spingeva a tornare nel mio paese natale, lì dove quasi un anno prima insieme a Varelli avevo rischiato di provocare l'apocalisse, e solo per soddisfare una puerile sete di conoscenza, solo per appagare il nostro ego insoddisfatto. I ricordi della spedizione in quella casa evitata da tutti tornavano sempre più spesso, ogni volta più violenti: allora rivivevo tutto, in una sequela di flash dell'orrore che mi lasciavano debole come un vecchio e impaurito come un bimbo. In particolare ricordavo il folle matematico nell'atto di scarabocchiare su un muro la formula per l'infinito, e l'abisso che si spalancava sotto i nostri piedi, simile più che mai ad un'immensa bocca pronta ad inghiottirci.

Ma il richiamo era l'aspetto peggiore della faccenda. Come altro definirlo, se non una chiamata da quell'altra dimensione, l'abisso che pullulava di mostri smaniosi di invadere il nostro pianetucolo indifeso? Non si trattava di parole, e neanche di suoni o di immagini, ma semmai di un bisogno indefinibile, sempre più impellente, a cui ogni giorno che passava facevo sempre più fatica ad oppormi. L'abisso voleva essere spalancato di nuovo, e io, che ero stato tanto imprudente da giocare con qualcosa di sconosciuto ed incomprensibile, ero il sopravvissuto a quella notte in cui due esserini insignificanti avevano giocato a fare Dio. L'abisso ricordava il sottoscritto, da cui voleva una cosa sola. Non ero un sapiente come Varelli, ma se fossi stato comunque in grado di riuscirci, in qualche modo? Tremavo al solo pensiero.

Non stavo impazzendo. Per un po' mi cullai con quell'ipotesi tanto sensata quanto consolatoria, ma non durò molto. Se le mie giornate erano ormai una lotta continua per resistere a quel dannato richiamo, le notti erano lunghi incubi da cui faticavo a svegliarmi, in cui sognavo creature fantastiche e paurose, ritrovandomi a precipitare per chilometri e chilometri in un abisso rosso e senza suoni, in cui mani non del tutto umane tentavano di ghermirmi. Non ero pazzo, ma andando avanti in quella maniera lo sarei diventato presto!

Gli ultimi sei mesi erano stati un tormento continuo, e le settimane più recenti addirittura drammatiche. Ero dimagrito di quasi dieci chili, e avevo cominciato a bere forte, pur di mitigare quello stato di angoscia permanente. Il mio aspetto era cambiato in peggio, e facevo sempre più fatica a nascondere la tensione che mi rodeva il sistema nervoso ormai da troppo tempo; non avevo via di scampo, non potevo che accettare la realtà, per quanto orrenda potesse essere: dovevo tornare alla casa. Altrimenti sarei impazzito sul serio, magari riducendomi ad un alcolizzato bavoso che blaterava di mostri... O più prosaicamente l'avrei fatta finita.

Una volta picchiai un tizio che somigliava vagamente a Varelli. Erano solo le dieci del mattino, ma ero già mezzo sbronzo. Lo sconosciuto era piuttosto smilzo, e aveva i capelli lunghi e ricci. Il particolare che mi fece perdere la testa furono i suoi occhiali da sole, con le lenti circolari.

- Maledetto quattr'occhi, tornatene all'inferno! - biascicai strascicando le parole come il peggiore degli ubriaconi, prima di mollargli un destro poderoso, che gli fece volare via gli odiati occhiali, facendolo crollare col sedere sul marciapiede. Nonostante il recente deperimento restavo ancora un omone alto oltre un metro e novanta, che ancora conservava buona parte della sua forza fisica. Ormai avevo toccato il fondo.

Con uno sforzo eroico lasciai perdere la bottiglia, ma a malincuore dovetti rinunciare al lavoro, dove non rendevo più come una volta. Mi presi un lungo periodo di malattia, dichiarandomi gravemente depresso. Il mio datore di lavoro non batté ciglio, d'altronde il mio aspetto allucinato era più convincente di qualsiasi certificato medico.

Una grigia mattina di novembre partii in macchina per il paesino dove avevo trascorso la prima parte della mia vita, senza neanche sapere bene cosa avrei fatto una volta arrivato a destinazione. Mancavano solo pochi giorni al fatidico anniversario.

La casa sull'abissoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora