Il richiamo dell'abisso (parte 6)

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- Mi confidai con dei colleghi fattori miei vicini, tre amici di cui due sono morti ormai da anni, e quello ancora vivo è affetto da una grave forma di Alzheimer. Sono rimasto l'unico testimone di quello che successe, e questo mi fa sentire solo e perduto: certi fardelli sono un peso troppo grande da sopportare! Ricordo che non mi credettero, ma pur mostrandosi scettici, i miei vicini acconsentirono a dare una lezione a Derceto e ai suoi degni compari. L'idea era quella di spaventarli, senza dover ricorrere all'aiuto delle forze dell'ordine: volevo mettere le mani su quell'uomo, e credo che fu proprio per questo che risultai così convincente. Un paio di notti dopo partimmo in quattro per una spedizione punitiva, armati di forconi e randelli, illuminandoci la via con un potente faretto portatile. -

- Dalla casa arrivava il solito vociare sommesso, il che ci mise le ali ai piedi: entrammo spediti nella catapecchia, illuminando a giorno quelle quattro mura fatiscenti. Ricordo che non appena varcai la soglia avvertii un senso di straniamento... L'interno era completamente vuoto! Non solo non c'era traccia alcuna di mobilio, ma non esistevano neppure i muri divisori e il pavimento del secondo piano: quella cosa immonda era solo una gigantesca scatola vuota e senza senso. L'ambiente era appena rischiarato da alcune candele, che diffondevano una debole luce giallastra, da incubo; notai su un muro le tracce di alcune scritte fatte col gesso e poi cancellate, e per un attimo mi chiesi cosa ci fosse stato scritto. Per una manciata di secondi ci guardammo fra noi stupefatti, per poi rivolgere la nostra attenzione agli odiati capelloni. Erano solo in tre: il solito Derceto e due ragazze, a cui per qualche motivo rituale erano stati rasati i capelli e le sopracciglia, qualcosa di tanto anomalo quanto ripugnante. Mi accorsi di calpestare le loro ciocche bionde, e mandai un'imprecazione, infastidito da quello scempio inutile. -

Capii al volo che le cose si erano messe male: al contrario dell'opinione che aveva di sé, Lippi era un uomo rozzo e senza troppa fantasia, e i suoi complici non dovevano essere da meno.

- Cosa avete fatto? -

La mia era più un'accusa che una domanda. Si passò una mano sulla faccia, a disagio. Sara gli cinse la vita in un abbraccio, per fargli sentire la sua vicinanza.

- Quel pazzo si mise a ridere! Rideva di noi e delle nostre intenzioni, capisce? - interloquì Lippi, retorico – Mi si parò davanti e disse: "Restate pure, fra poco vedrete qualcosa che merita di essere raccontato." Ma io non avevo intenzione di vedere proprio niente: da troppo tempo quel tizio provocava in me un'avversione a cui non potevo più resistere, e mentre si apprestava a scrivere qualcosa sul muro, senza pensarci due volte lo infilzai al petto con il forcone che stringevo con ambo le mani. Me ne pentii subito. Avevo sempre creduto di essere una brava persona, e invece non lo ero. Quella notte qualcosa di nero e opprimente calò sulla mia anima, per non lasciarmi più. La mia vittima non morì subito, ma ebbe il tempo di fissarmi stupito, mentre rantolava qualcosa di incomprensibile sputacchiando sangue, per poi spirare e restare con gli occhi spalancati sul nulla. Non fu uno spettacolo piacevole, può credermi sulla parola. -

Si fermò, esausto. Per lui quella confessione era una sofferenza, il suo tormento era fin troppo evidente.

- I miei compagni mi salvarono dal giudizio della legge. Mandarono via le ragazze, non prima di averle minacciate a dovere (e funzionò, visto che non aprirono bocca), e portarono via il corpo di Derceto, nascondendolo in una cassa per il fieno, che seppellirono in un campo non molto distante. Li guardai fare, inebetito per lo shock e disarmato del mio forcone, la testa scossa da un turbine di pensieri incoerenti. Mentre gli altri erano intenti a pararmi il posteriore, tanto per fare qualcosa raccolsi un libro che giaceva dimenticato per terra, fra la polvere: era un pesante tomo con la copertina di pelle nera, le cui pagine incartapecorite erano piene di incantesimi e disegni grotteschi, oltre a delle formule matematiche per me incomprensibili. Con un gesto meccanico misi una mano in tasca e ne tirai fuori un accendino. Lo accesi, ed accostai la fiammella alle pagine, ma con mia enorme sorpresa dovetti constatare che non riuscivano a prendere fuoco! Tentai allora di strapparle, preso da una furia annientatrice, ma non servì a nulla: quel libro era indistruttibile. Capii allora che era protetto da una potente magia, e fu quello il particolare di quella notte che mi spaventò di più: quel volume sarebbe resistito agli anni e ai secoli, esistendo così per sempre.

Sconfitto e stremato lo consegnai agli altri, che decisero di seppellirlo insieme allo stregone. Se cercate un modo per fermare l'orrore che si nasconde in quella casa, forse la risposta la troverete in quel libro. Io non so dirvi altro, se non che mi dispiace, e che mi tocca morire con questo peso sul cuore. –

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