Il richiamo dell'abisso (parte 7)

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La luna piena somigliava ad un volto pallido e spettrale che ci osservasse malevolo dall'alto, e il cielo nero e senza stelle acuiva il senso di minaccia incombente. Scavavo come un ossesso in cerca di quel dannato libro, sperando fosse proprio quello il punto indicatomi dal vecchio, mentre Sara faceva luce con una torcia elettrica. Avevamo aspettato il calar delle tenebre per darci a quella macabra attività, comportandoci in quel campo incolto alla stregua di profanatori di tombe in un cimitero. Dovetti darmi da fare con la vanga e ammucchiare un bel po' di terra alle mie spalle, prima che si intravedesse almeno una parte dell'improvvisata cassa da morto. Mi gettai allora nella fossa, e scostai la terra rimanente con le mani, buttandola in giro alla rinfusa. La cassa era di forma rettangolare e lunga circa un paio di metri, come bara recuperata al momento non si sarebbe potuto trovare di meglio; la scoperchiai aiutandomi con la punta della vanga, e quando il coperchio si spalancò di colpo venimmo subito investiti da un fetore insopportabile. Fummo costretti a tapparci il naso e respirare con la bocca aperta, o saremmo svenuti.

Di Derceto era rimasto solo lo scheletro, a cui rimanevano attaccati alcuni brandelli di stoffa colorata, simili a lugubri coriandoli. Il ghigno eterno del teschio pareva deridere noi vivi che ancora lottavamo contro una morte inevitabile; i lunghi capelli del cadavere avevano continuato a crescere anche dopo l'inumazione, arrivando a lambire le costole ingiallite dal tempo, somiglianti a tentacoli neri incrostati di terriccio e vermi. Quello della crescita di capelli e unghie post mortem era un fenomeno di cui avevo sentito parlare qualche volta, ma a cui non avevo mai creduto. Quella vista mi indusse a cambiare idea. Le mani dello scheletro erano entrambe avvinghiate al libro nero, e feci una certa fatica a tirarglielo via: per fortuna non sono un tipo impressionabile, o altrimenti mi sarei convinto che il morto non volesse cedermi il volume proibito.

Sara me lo strappò immediatamente dalle mani, e si mise a sfogliarlo con voracità alla luce della torcia. Aspettare di posare gli occhi su quelle pagine fu una tortura; chiusi la cassa e riempii la fossa di terra, ma nel mentre il maledetto influsso si faceva sentire più che mai, tentandomi a più riprese: più volte immaginai di saltare addosso alla ragazza dal caschetto sbarazzino e staccarle la faccia a morsi, pur di accaparrarmi il libro. Quando me lo porse quasi non volevo più toccarlo, ma mi feci forza e iniziai a sfogliarne le pagine. Alcune scritte erano in latino, mentre altre in greco antico, alcune addirittura erano scarabocchiate in alfabeti sconosciuti, forse inventati o forse alieni. Le immagini erano impressionanti: disegni di mostri che divoravano donne e bambini, bizzarri ibridi semiumani, creature alate che si prostravano ai piedi di idoli giganteschi, e altre schifezze su cui preferii sorvolare, o avrebbero sconvolto per sempre ciò che restava della mia sanità mentale.

- Va' all'ultima pagina. - suggerì Sara. Feci come mi aveva detto. In alto era trascritta una lunga formula matematica, il cui risultato era un otto, simile a quella usata dal defunto Varelli. Subito sotto c'era un breve passaggio scritto in un italiano alquanto antiquato, una sorta di avvertimento.

Non evocate niuna Entità che non possiate indietro rimandare, col che significo alcuna cosa che possa contro di voi voltarsi, e contro cui le Arti più potenti non bastino ad aver ragione. Guardatevi dall'Abisso, perché esso è assai potente, il più arduo da soggiogare! Se rischiate di esserne sopraffatti, richiudete l'Inferno di sotto con codesta formula, e mai più evocatelo.

Seguiva un'altra serie di numeri e operazioni, che davano come risultato uno zero tondo tondo.

- L'otto è il simbolo dell'infinito. - spiegò Sara quando ebbi finito di leggere – La prima formula spalanca l'abisso, l'infinito che si nasconde sotto quella casa, ma la seconda serve a richiuderlo: lo zero è il simbolo della circonferenza, un qualcosa che non ha un inizio né una fine, un cerchio in cui possiamo chiudere per sempre l'abisso e suoi occupanti! - finì con voce tagliente, di chi si appresta a far fuori qualcuno.

- Questa non è solo matematica, è magia nera. Te ne rendi conto? - le feci notare, sapendo fin troppo bene con cosa avevamo a che fare.

- Non abbiamo scelta. -

Per quanto mi riguardava aveva ragione da vendere. Il richiamo mi stava consumando, presto o tardi sarei entrato nella casa senza essere più padrone delle mie azioni. Mi aspettavo una risposta simile, eppure non riuscii lo stesso a reprimere i pensieri orribili che ne seguirono. Avevo paura, ma forse lei non ne aveva abbastanza.

La casa sull'abissoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora