Il richiamo dell'abisso (parte 5)

83 27 17
                                    

- L'estate del 1969 fu eccezionalmente calda: ricordo che certi giorni sudavo anche da fermo, e il sole scottava già di primo mattino. Ogni tanto, mentre ero intento a badare al bestiame, proprio in questa stessa fattoria (che all'epoca era stata appena costruita), mi veniva da pensare che l'inferno si fosse trasferito qui sulla terra, e fossimo tutti condannati a bruciare. Avevo solo venticinque anni e una fantasia piuttosto fervida, ma bisogna lasciar perdere i voli pindarici quando si hanno una moglie e una bambina da mantenere. Lavoravo sodo tutto il giorno, facevo del mio meglio per tirare avanti. -

- Proprio in quel periodo si fecero vedere in paese delle facce nuove, degli stravaganti hippie che avevano tutta l'aria di essere appena atterrati da un altro pianeta: vestivano in modo fin troppo colorato, le loro teste stracapellute erano sempre cinte da bandane, e spesso fumavano erba davanti a tutti. Pur non piacendo alla popolazione locale, venivano perlopiù tollerati, considerati alla stregua di giovani alla moda e dalle abitudini bizzarre. Ma il loro capo, un tipo poco ciarliero e dallo sguardo bieco e sfuggente, era davvero inquietante: un tipo magro e non molto alto, con folti capelli neri che gli arrivavano a metà collo, e una lunga barba caprina, che lo faceva somigliare a certe raffigurazioni del demonio che mi tornavano in mente ogni volta che lo incrociavo per strada. Si comportava più o meno come gli altri, ma i suoi gesti furtivi nascondevano qualcosa che non prometteva niente di buono. Tutti in paese lo conoscevano come Franco Derceto, ma non so se fosse il suo vero nome. Io lo detestavo, e non ero l'unico. -

- Durante una notte particolarmente afosa non riuscivo a chiudere occhio: grondavo come una fontana, e sentivo in bocca un saporaccio amaro che non mi dava pace. Mi alzai dal letto ancora mezzo intontito, cercando di non svegliare mia moglie, e andai in cucina in cerca di un po' di ristoro, con l'idea di bere un bel bicchiere d'acqua ghiacciata. Non c'è niente di meglio dell'acqua fresca quando si ha sete... Peccato che riuscii a mandare giù un unico sorso. Perché ciò che vidi per caso dalla finestra cancellò in un attimo qualsiasi cosa, comprese le esigenze del mio corpo accaldato. Il bicchiere mi scivolò di mano e si infranse sul linoleum, ma me ne accorsi appena. Mi avvicinai alla finestra in preda allo stupore, gli occhi fissi sulla minacciosa meraviglia a cui non riuscivo a credere. -

Il vecchio guardava lontano, del tutto immerso nel ricordo di quell'evento straordinario. Forse lo stava addirittura rivivendo, perché per un po' non parlò più. Lessi una profonda paura in quello sguardo vuoto, e mi chiesi quanto il suo terrore somigliasse al mio. Stavo per incitarlo a continuare, quando riprese il suo racconto.

- La casa che lei conosce bene, che già allora era abbandonata da un paio d'anni - e mi fissò con uno sguardo carico di sottintesi - era avvolta da una nube rossa come sangue! Si trattava di una sorta di foschia piuttosto rarefatta, ma ben visibile anche a quella distanza. Guardai affascinato quella follia per alcuni minuti, giusto il tempo che impiegò quella roba rossiccia a dileguarsi nell'aria come nebbia. Non pensai nemmeno per un attimo ad un fenomeno atmosferico sconosciuto, per una cosa del genere mi venne in mente una sola possibile causa: Franco Derceto. -

A quelle parole sentii un brivido attraversarmi la spina dorsale: ricordavo fin troppo bene cosa anticipasse quella specie di nebbia vermiglia, e in quel momento seppi con certezza che qualcuno altrettanto stupido aveva preceduto me e Varelli.

- La notte successiva spiai la casa da vicino, nascosto alla bell'e meglio dietro un albero, sperando di riuscire a mimetizzarmi nel buio. Quando arrivai, procedendo con cautela esagerata, neanche fossi un soldato che striscia fra le linee nemiche (ma io così mi sentivo), mi accorsi che dentro c'era già qualcuno. Sentii un vociare piuttosto animato, anche se non riuscii a distinguere le parole; dopo qualche minuto calò un pesante silenzio. Non passò molto che l'assurdo fenomeno della notte prima si ripetesse identico, lasciandomi senza parole: vidi quei vapori rossastri fuoriuscire copiosi dall'entrata priva di porta, simili al fumo di un incendio; esalazioni scarlatte filtravano dalle finestre chiuse, e addirittura dalle fondamenta! In breve il tugurio fu avvolto dalla bruma purpurea, che gravitò intorno al fabbricato senza però espandersi in altre direzioni. Ma che diavolo poteva essere? Certo niente di buono. Dopo che la nube attorno alla stamberga si fu dissolta ne uscì l'odioso Derceto; anche se intravidi solo una sagoma incerta che si stagliava sullo sfondo scuro, lo riconobbi anche al buio, il suo atteggiamento furtivo lo tradiva peggio delle impronte digitali.

"Non sono riuscito ad aprirlo neanche stavolta!" si lamentò ad alta voce "L'abisso si è schiuso di pochi centimetri, ed è durato solo un attimo... La formula è ancora incompleta!" aggiunse sconsolato, per poi dirigersi in direzione del paese. Non capivo a cosa si riferisse, non ne avevo la più pallida idea. Sapevo solo che andava fermato. Passò a pochi metri di distanza dal mio nascondiglio, e dovetti trattenermi per non saltargli addosso e rompergli la testa. -

La casa sull'abissoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora