Il richiamo dell'abisso (parte 2)

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L'ombra della casa incombeva su di me, facendomi sentire piccolo e vulnerabile. La smisurata sagoma nera si stagliava per un perimetro di terra ragguardevole, di fatto circondandomi. La osservai abbacinato per qualche istante, poi sollevai lo sguardo sulla dimora disabitata. Quella vecchia costruzione cadente, con i vetri delle finestre infranti come occhi accecati, e le profonde crepe simili a degli sfregi, sembrava proprio la faccia di un mostro pronto a vomitare orrori di ogni genere. Tutt'intorno il nulla di quella zona periferica; a parte il sottoscritto non c'era anima viva. Un pallido sole malato illuminava debolmente la scena, acuendo l'aspetto sinistro di quella landa desolata.

Lì davanti sentii il richiamo intensificarsi di colpo: ormai era fortissimo, irresistibile, e anche se rimanevo immobile come una statua, dentro ero scosso da un terremoto emotivo di rara intensità, che non accennava a placarsi nemmeno un po'. Temevo di entrare in quella catapecchia da un momento all'altro, e combinare un disastro a cui nessuno avrebbe potuto porre rimedio. Feci allora l'unica cosa sensata che rimanesse da fare: iniziai a versare il contenuto della tanica che stringevo con forza, colpendo le pareti esterne del tugurio con spruzzi rabbiosi, rovesciando in pochi attimi benzina a volontà. Già immaginavo il fuoco che presto avrei fatto divampare, pregustando l'azione devastatrice delle fiamme.

- Tanto non servirebbe a niente. -

Mi bloccai all'istante, come un ladro sorpreso in flagrante. La voce femminile alle mie spalle pareva quasi divertita di quella mia prodezza, ma forse era solo un'impressione. Posai la tanica infastidito, con un gesto lento, di chi è stato interrotto da uno scocciatore, e mi girai con sguardo torvo, pronto a cacciare quella ficcanaso. Era una ragazza sui trent'anni o poco più, piuttosto alta, con un caschetto di capelli neri che le arrivava alla mandibola. Mi squadrava da capo a piedi con due occhi di un nero davvero intenso, mentre fumava una sigaretta che ormai aveva quasi finito, tirandone di tanto in tanto una boccata, quasi distrattamente.

- Quella sarebbe una miccia perfetta. - indicai con un cenno del mento la sigaretta che le pendeva fra le dita, per niente a disagio di essere stato colto in fallo. Avevo ben altro a cui pensare.

- Non servirebbe a niente, te l'ho già detto. - ripeté annoiata, col tono svogliato di una ragazzina – Quella schifezza rimarrebbe in piedi comunque. E ciò che nasconde sarebbe sempre pronto a spuntarne fuori. - finì sibillina, mentre lasciava cadere il mozzicone e lo spegneva con il tacco di uno stivale. Non mi sorprese che si esprimesse in quei termini: da quelle parti la casa era tanto nota quanto temuta.

- Ah sì? - la sfidai a continuare, avvicinandomi minaccioso – E tu che ne sai? -

- So chi sei. - rispose senza battere ciglio – Devi essere il compare di quello che è scomparso l'anno scorso. Come si chiamava? - e riuscì a mettermi a disagio, mentre mi si avvicinava ad un palmo dal naso – Varelli, vero? - chiese retorica. Eravamo famosi, da quelle parti... Non risposi.

- Un anno fa la sua auto fu ritrovata non lontano da qui. - riprese imperterrita, trattenendo solo in parte un sorrisetto malizioso – Da quel che si dice in giro, pochi giorni prima della sparizione frequentava un forestiero alto e grosso... Lo stesso uomo che è stato visto in paese neanche un'ora fa, mentre comprava da un distributore una tanica di benzina. Sai com'è: il paese è piccolo, e la gente mormora. -

- Ho sempre apprezzato la discrezione dei grandi centri urbani. - ironizzai velenoso, prima di aggiungere: – Vattene ragazza, lasciami fare quello che devo. -

- Non sembri molto in forma. - osservò con finta noncuranza, mentre mi lanciava uno sguardo penetrante. Era una testa dura, non si sarebbe fatta allontanare così facilmente, neanche da un orso con tutta l'aria di avere urgente bisogno di una camicia di forza. E forse aveva ragione. Cosa avrei ottenuto appiccando un incendio? Avevo a che fare con forze che trascendevano la comune esperienza umana, la mia era una mossa dettata dalla disperazione.

- E' tua? - chiesi cambiando discorso, puntando con l'indice la bici lontana qualche metro, adagiata per terra alle sue spalle.

- E' mia. - confermò – Stavo tornando alla fattoria quando ti ho visto. - disse guardando lontano. Volsi lo sguardo nella stessa direzione, e in effetti intravidi alcune costruzioni ancora lontane. Non mentiva, insomma.

- Non ti ho nemmeno sentita arrivare. - dissi tanto per aprir bocca, mentre rimuginavo su tutta la faccenda.

- Eri troppo impegnato a giocare al piromane. - sfotté lei, quasi fossimo vecchi amici. Strana ragazza... Mi piaceva.

- Dobbiamo parlare. -

Il mio era praticamente un ordine, ma non la prese male. Anzi sorrise, pareva quasi non aspettasse altro.

La casa sull'abissoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora