Il richiamo dell'abisso (parte 9)

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Nero, solo nero.

Ovunque posassi gli occhi non vedevo altro. Avvertivo una fitta dolorosa, costante, alla base del collo; lo sfiorai con la punta di due dita, che sentii farsi umide di sangue. Ispezionai meglio la ferita, e constatai che da un foro dietro il collo il sangue era colato fino in mezzo alle scapole. Mi parve che l'emorragia si fosse arrestata o quantomeno contenuta, ma ero tutt'altro che sicuro.

Solo dopo qualche secondo mi resi conto di trovarmi steso per terra, supino. Mi puntellai allora su un gomito, non senza avvertire un certo disorientamento, e mi guardai attorno, spaesato. In un punto non lontano le tenebre erano rischiarate da una luce, e così potei vedere ciò che non mi sarei mai aspettato... Sara buttava occhiate frettolose al libro nero tenuto aperto nella mano sinistra, la torcia trattenuta sotto l'ascella, con la luce puntata verso il muro; nella destra stringeva una specie di lungo ago di metallo, forse un rompighiaccio, un cilindro lungo una ventina di centimetri che terminava in una punta aguzza, letale, sporca della mia linfa vitale, con cui tracciava sul muro quella che riconobbi come la formula di Varelli. I numeri rossi si susseguivano ad un ritmo frenetico: chi scriveva era colta da una brama famelica, il giovane viso contratto in una smorfia diabolica, tanto da ricordare una maschera oscena.

Capii che ero rimasto privo di sensi solo per un minuto o due. Mi alzai quindi in piedi, come farebbe un ubriaco, tentando di rimanere più o meno dritto, riuscendoci nonostante mi sentissi debole e atterrito. La ragazza non si accorse di nulla perché ero ancora seminascosto nel buio, ma soprattutto perché troppo presa da quello che stava combinando.

Ficcai una mano nella giacca e ne estrassi la torcia, senza fare il minimo rumore. La puntai contro quell'orrenda faccia traditrice e la accesi. Il raggio luminoso la investì in pieno, accecandola: il libro le cadde di mano e la torcia si sfilò da sotto l'ascella, ma nonostante si dimenasse come un'ossessa continuava a stringere il pericoloso rompighiaccio. Abbassai un poco il raggio della torcia, in modo che potesse vedermi.

- Sei ancora vivo! - sibilò la vipera, colta di sorpresa.

- Così pare. - ironizzai, e non so davvero come riuscissi a farlo. Forse ero solo contento di non averci lasciato le penne.

- Hai mentito tutto il tempo. - la accusai, sondando le sue reazioni.

- Era necessario. - si limitò a dire, impassibile. Non mostrava alcun segno di rimorso.

- Varelli credeva che quei calcoli spalancassero l'infinito. – continuai, furibondo – Ma tu conosci la verità! - finii gridando.

- La verità è che serviva il sangue: senza, la formula non funziona. - sorrise beffarda.

- Perché fai questo? –

L'angoscia nella mia voce non servì a scalfire il suo atteggiamento.

- L'abisso me l'ha ordinato. - proclamò trionfante, e lessi nei suoi occhi qualcosa peggiore della follia – Tu non sai cosa sei riuscito a risvegliare un anno fa, non ne hai la minima idea. Posso solo dirti che hai dischiuso una porta, e da allora quelli dall'altra parte ci guardano. E hanno visto me. -

- Che vai farneticando? -

- L'abisso mi ha parlato: durante gli ultimi mesi, ogni volta che passavo davanti a questa casa, gli esseri dell'altra dimensione mi sussurravano sogni proibiti: sono loro che hanno fatto parlare mio nonno, sono loro che ti hanno condotto qui perché venissi sacrificato, tu che non hai portato a termine il tuo compito, l'unico testimone della verità, il solo che può fermarli! -

Mentre parlava oscillava l'ago d'acciaio a destra e a manca, a sottolineare le sue parole. Distolsi lo sguardo, anche perché temevo mi ipnotizzasse con quel movimento.

- Mi è stata promessa la vita eterna: diventerò qualcosa che nessun uomo o donna su questa terra ha mai nemmeno sognato. – continuò con superbia – Muterò in un essere superiore, molto oltre i ridotti limiti dell'umano! - urlò sputando un filo di bava, che prese a colarle lungo il mento.

- Davvero ci credi? Ma non capisci che ti stanno solo usando per i loro scopi? – protestai, incredulo.

- Può darsi, ma meglio rischiare per un improbabile paradiso, che accontentarsi di un sicuro inferno! Come vuoi che sia il resto della mia esistenza? Uguale a quella di tutti gli altri: solo un lento agonizzare, una discesa inesorabile verso la noia, la rassegnazione e la morte. Voglio ben altro, io. -

Anch'io avrei desiderato ben altro che quel delirio, e fu per questo che passai all'azione, prima che tentasse di pugnalarmi ancora con quel coso. La accecai di nuovo con la lampada, e con la mano libera la colpii al mento con tutta la forza che ancora mi rimaneva. Si afflosciò all'istante, come un sacco vuoto. Le sfilai l'arma che impugnava ancora e la gettai lontano; tintinnò sinistra perdendosi nel buio. Per un po' osservai Sara, ancora guardingo: stesa lì per terra con gli occhi chiusi pareva quasi inoffensiva.

La casa sull'abissoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora