Prologo

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"Mia madre è una manica del controllo e mio padre è morto e non dovrei essere felice di ciò ma lo sono e come. Non ho mai avuto molti amici, mi sento sola e oggi è il primo giorno di scuola del mio ultimo anno, in una scuola nuova. Come credi che stia?!"
Questo vorrei urlare a mia madre in questo momento, ma lei dà molta importanza ad ogni sillaba ed io non ho voglia di mettermi a discutere con lei e litigare soprattutto.
È il primo giorno di scuola e mi ha chiesto come sto, una domanda semplice a cui non ho assolutamente intenzione di rispondere.
Noi non parliamo, noi urliamo e poi facciamo finta di nulla. Alcune volte andiamo d'accordo altre no e sono di più le volte in cui non ci sopportiamo.
Sono figlia unica e sono felice di ciò, da misantropa non penso che sarebbe così facile lasciarmi andare all'amore fraterno, anzi l'amore in generale. Io sono sola, non ho fiducia nell'altro, a malapena mi fido me. Ho difficoltà a relazionarmi, questo è il punto. Se devo essere cordiale con le persone lo sono, mi rendo disponibile, infatti nella mia vecchia città facevo volontariato, andavo in chiesa.
Ora odio che qualcuno dia a me, odio che qualcuno si avvicini a me. Io non credo che qualcuno si avvicini a me per buone intenzioni, ho sempre la sensazione di una presa in giro. E dico ciò perché molto spesso mi sono esposta troppo e non c'era nessuno per me. Io ho dato tanto, ma poi chi c'era per me?
Io ho sempre amato esserci per le persone, strappare un sorriso, stare con i bambini e servire alla mensa dei poveri, ma le cose poi sono cambiate. Ho smesso di credere, o comunque ho iniziato a dubitare, ho smesso di fare volontariato e mi sono chiusa in me stessa. Ho iniziato a studiare quando mi andava, ho iniziato a fumare molte sigarette al giorno nei bagni della scuola, ho iniziato a mentire a mia madre su tante cose e ho smesso di condividere la mia vita con la gente.
Ho abbandonato la mia vecchia città, ci siamo trasferite questa estate, ora sono a Miami. Ho passato questi due mesi in biblioteca a leggere o al campetto da basket sperando di fare nuove amicizie, solo per non sentirmi un pesce fuor d'acqua, ma non è così facile per me.
Miami è diversa da dove vivevo precedentemente, Havana la sentivo più accogliente... sarà che mi devo abituare bene alla lingua, alle usanze delle persone.
Mia madre è cresciuta a Miami, ma non mi ha accennato nulla riguardo la sua famiglia ed io non ho osato chiederle.

Primo giorno di scuola ed ho perso la prima ora.
Probabilmente l'avrei persa a prescindere perché devo recuperare dalla segreteria il mio orario e il codice del mio armadietto.
L'odore della pittura fresca e del cartongesso mi fa ricordare il giorno in cui mi sono trasferita, quando ho messo piede nella mia nuova casa e ho dovuto aiutare mia madre a sistemare il suo studio.
«Buongiorno!» esclamo
Aspetto la risposta di qualcuno, poi si affaccia una signora di mezza età e mi fa un cenno di capo.
«Sono Cheyenne Jauregui, sono nuova, dovrei...»
Non mi lascia finire, mi interrompe con un gesto di mano e si mette a controllare un'enorme pila di fogli e quasi quasi scompare per la sua eccessiva bassezza
«Questa è la sua tabella con gli orari, i nomi degli insegnanti e le aule e questo...» mi porge un altro foglio «È il numero del suo armadietto con il codice, non lo perda!»
Annuisco e ringraziandola torno in quel labirinto sperando nuovamente di non perdermi.
Giro per i corridoi e finisco davanti alla caffetteria, ucciderei per un po' di caffè ma non posso perdere la seconda ora. Cammino guardandomi intorno, realizzando di essermi ancora una volta persa.
Vado a sbattere contro una donna che esce dal bagno. Che figura! Spero non sia una mia professoressa.
Ha una quarantina di anni, penso, e indossa un pantalone nero e una camicia bianca di dentro.
Mi guarda un po' sorpresa, poi mi sorride e chiede scusa.
«Scusi me, sono mortificata!» esclamo imbarazzata
«Stai bene, ti ho fatto male?» domanda con tono gentile
Io scuoto la testa.
«Io sono la professoressa di psicologia, nonché la dottoressa Cabello, consulente della scuola» sorride «Tu sei nuova, vero?»
«Sì, mi chiamo Cheyenne» annuisco
Ha un'aria così tranquilla questa donna, probabilmente deve essere brava nel suo lavoro. Per fortuna non è mia docente, dopo questa figuraccia...
«E sei cubana» aggiunge lei
«Ma come...» sussurro sbalordita
Lei ride. Ha un bel sorriso e una risata dolce ed io mi sento meglio, non ho più l'agitazione di questa mattina.
«L'ho capito dal tuo accento, sei qui da poco, vero?»
Annuisco solamente, non aggiungo dettagli.
Cala un po' di silenzio, ci perdiamo nel guardarci negli occhi.
«Come mai non sei a lezione?»
«Ehm... io» dico con voce strozzata «Mi sono persa, sto cercando il mio armadietto»
Le mostro il foglio che tra le mani. Le sue dita sfiorano le mie ed io le ritraggo nervosamente. Lei non sembra farci caso.
«Devi andare nell'ala est del secondo piano, ti accompagno se vuoi!» esclama sempre con quel tono gentile
«Ohw no, nono, non si preoccupi» forzo un sorriso «La ringrazio»
«Per qualsiasi cosa la mia aula è vicino alla segreteria, ricevo i giorni dispari alla fine delle lezioni e bisogna solo prenotarsi in segreteria»
Mi fa un cenno di capo e si allontana.
La guardo andare via con quei capelli lunghi che le arrivano fino alla schiena e il jeans stretto che le mette in risalto le curve.
È davvero una bella donna.
Mi ha lasciato una strana sensazione, sembrava di conoscerla da sempre.

Cheyenne ||CAMREN|| (rivista)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora