13-Ferito

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Sherlock e John stavano affrontando il loro peggior nemico, Jim Moriarty.
Egli era munito di spade e pistole, le uniche armi che riuscì a utilizzare meglio nella sua vita. Loro invece solo di ingombranti ma efficaci giubbotti antiproiettile. Sherlock però si era fatto prestare il bastone del fratello che conteneva una spada molto sottile e una pistola, armi perfette contro il nemico, erano pari.

Iniziarono a fronteggiarsi, ed erano solo Sherlock e Moriarty, perché John si sentiva un po' di troppo poiché un combattimento due contro uno è del tutto sleale con chiunque ci si trova davanti.

I due si ferirono a vicenda, ma fortunatamente la ferita di Sherlock era meno profonda per via del giubbotto che era stato squarciato quasi del tutto, mentre Jim Moriarty sanguinava leggermente dal petto, poi passarono alle pistole, Sherlock cercava di parare tutti i colpi, quando poi vide che il nemico si stava avvicinando a passo felpato per uccidere John, il moro per la prima volta utilizzò il proiettile che avrebbe ucciso James Moriarty, l'unico.

Improvvisamente si sentirono degli squarci, provenienti dalla spada nemica, che aveva preso alla sprovvista entrambi ritirandola fuori e poi andando via, lasciando i due a dirsi le "ultime parole".
"Sher..lock.. Ti prego.. Aiutami.."
Subito si avvicinò a lui, e cercò di baciarlo istintivamente, sarebbe stata la sua ultima possibilità d'altronde.
"John.. per favore resta con me, non te ne andare"
Subito dopo aver pronunciato quelle parole, si fecero vivi sia i componenti di Scotland Yard amici dei due, sia un'ambulanza: sapevano che lottare contro Moriarty avrebbe portato feriti.

"Sherlock.. sono arrivati.. i soccorsi.."
"Sì John, andrà tutto bene, resta con me, ti prego.." E dagli occhi di Sherlock Holmes caddero lacrime a solcargli il volto, triste, come non lo era mai stato per nessuno, nemmeno per sé stesso.. John era la sua fonte di vita, e non poteva lasciarlo andare così, era ancora troppo presto.. troppo.

"Portatelo in ospedale più velocemente possibile, sta perdendo troppo sangue" il moro sentì una voce in lontananza e poi solo le sirene.
Lo avevano portato via.
E Sherlock li seguì, col taxi che arrivò poco dopo.
"Mi porti all'ospedale"
"Subito signore"

*

John era in coma da dieci giorni, eppure il moro aveva ancora la speranza che presto si sarebbe svegliato. Ogni giorno andava lì, stava a tenergli la mano, a parlargli raccontandogli un po' ciò che faceva durante le giornate cercando di non scoppiare a piangere, persino a dargli piccoli baci, vicini alle labbra per poi arrivare ad esse stesse.
Ogni giorno, però, l'orario di visita finiva e lui doveva tornare a casa.
Sempre più triste perché neanche quel giorno il viso o il corpo di John mostrava miglioramenti, le ferite erano già rimarginate pian piano, ma il biondino non voleva saperne di svegliarsi, di sorridere, di beare il consulting detective col suo sguardo, con le sue labbra e con la sua voce, calda e non troppo profonda ma perfetta per il riccio.

I medici capirono che Sherlock non era un semplice amico, quindi gli chiesero se volesse rimanere anche la notte a vegliare sull'amato.
Lui accettò subito e senza proferire altre parole si accoccolò a lui accarezzandogli i capelli biondi che pian piano diventavano un po' come quelli di Lestrade ma molto più belli..

Finalmente, dopo un'altra settimana, John si mosse, e trovò vicino alla sua mano il corpo di Sherlock, si svegliò poi e lo vide, dolcemente addormentato e con alcune lacrime a solcare il suo viso perfetto.

"Sherlock.."
"John.. Ti prego non andare.." queste erano le parole che sentì farfugliare il biondo, poi però il moro si svegliò tormentato ancora da quel giorno e abbracciò il suo amato, lo aveva aspettato così tanto.. E alla fine lui si era svegliato.
Aveva capito di non poter lasciare da solo il suo dolce moro, quest'ultimo subito riempì di baci il paziente che giaceva ancora lì.
"Ti sei svegliato John.. Finalmente!"

Poco dopo entrò il medico che in quei giorni si era occupato del biondo che gli sorrise e disse: "Ben svegliato signor Watson".

John sorrise in risposta e Sherlock non poté essere più felice di così.
"Quanto tempo è passato, dottore?"
"Quasi un mese, signore"
"Per la precisione diciassette giorni" si intromise Sherlock sorridendo dolcemente al suo amato.

"Ancora qualche giorno in osservazione e poi potrà tornare a casa, signor Watson"
"Va bene, grazie mille"
Poi entrarono alcuni giovani che fecero sedere John su una sedia a rotelle per trasportarlo in una sala dell'ospedale più tranquilla anche se un po' più affollata, adatta maggiormente alle visite.

Infatti subito dopo, in ospedale, arrivarono la signora Hudson, Greg e Mycroft.
Ma dopo un breve saluto e una manciata di minuti a parlare e informarsi se stesse bene, lasciarono John e Sherlock un po' da soli, sia i tre, sia i medici.

"Ehi Sherlock.." iniziò il biondo,
"Dimmi John" rispose sorridendo dolcemente,
"Cosa hai fatto in tutti questi giorni?"
"Ho vegliato su di te naturalmente"
"Ti hanno fatto rimanere giorno e notte qui?"
"Solo l'ultima settimana, gli altri giorni ero un semplice "amico", quindi rispettavo l'orario di visita."
"E hai mangiato in questi giorni?"
"In realtà molto poco, però cercavo di mantenermi in forze per te, quindi sì"

Seguì un leggero silenzio e poi partì una musica soave, non si sa da quale angolo dell'ospedale, sta di fatto che si sentiva fino in quella stanza, e questa portò la dolcezza su John e Sherlock, che piano piano si lasciarono trasportare fino a che le labbra si avvicinarono sempre di più.
Fu un momento molto dolce, soprattutto perché nessuno li interruppe.

"Ti amo, John Watson"
"Anch'io ti amo, Sherlock Holmes"

*

Finalmente quei giorni di osservazione erano passati e il detective e il blogger tornarono a casa.
Ad aspettarli c'erano la padrona di casa, Mycroft, Greg e Molly.
Avevano organizzato una piccola festa di bentornato per John che passarono giocando, bevendo, mangiando e cantando.
Tutti insieme. E quella sì che poteva essere considerata una famiglia, unica e speciale.

One shots JohnlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora