✾ Capitolo XVII ✾

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   Cassandra era sbalordita per quanto poco conosceva la propria famiglia. E per quanto stolta era stata.

   Non appena si fu risvegliata, ritrovò sé stessa immobilizzata ad una parete. Le cinghie erano identiche a quelle di cui si era liberata sul furgone. Ma ora, erano più resistenti e salde.

   Tentò di strattonar via le braccia, ma scoprì di avere anche i polsi bloccati e ciò le impedì di attuare qualsiasi altro movimento.

   Peraltro, ovunque fosse, non c'era il minimo segno di luce o di vita. Era da sola, in tutto e per tutto.

   «Come ho fatto a essere così cieca?»

   Si tratteneva da ormai troppo tempo e sapeva che le occorreva alleggerirsi. Così, paralizzata nel corpo, lasciò che le lacrime le inondassero il viso.

   «C-Cass...?»

   Era un suono flebile, tiepido, eppure così intenso, variopinto. Avvertiva un che di famigliare e ciò la spaventò.

   «Chi parla?»

   L'interlocutore scoppiò a ridere, ma quasi si strozzò per la fatica.

   «Chi parla?» reiterò la richiesta.

   Erano avvolti dal buio e dal silenzio, una coppia micidiale per i suoi nervi. Era frustrante non essere al corrente di quanto accadeva tutt'intorno.

   «Dai, puoi capirlo...»

   «No, non posso e non m'importa» la sua replica era colma di irritazione e di stanchezza.

   Non riusciva a distinguere nulla, un oggetto o un qualsiasi altro indizio. E ciò l'atterriva al punto che si sarebbe impiccata con le medesime cinghie di cui disponeva.

   «Perlomeno, hai usato la spilla»

   Cassandra si accigliò. «Cosa sai sulla spilla che posseggo?»

   «Forza,» lo sconosciuto sospirò, «fai sul serio? Non ci credo che non riesci a riconoscermi...»

   Cassandra era sconcertata. Che cosa avrebbe dovuto riconoscere? La voce le era estranea e l'oscurità non poteva aiutarla in alcun modo.

   L'altro inspirò a fondo, malinconico, e riprese a parlare. «Io...Avrei dovuto tenerti d'occhio...» commentò con un tono particolarmente sommesso.

   «Cosa stai bofonchiando?»

   «Avanti, Cass...» replicò a fatica, poi si inumidì le labbra, «Fa' uno sforzo e ricorda...»

   Quelle parole le si adagiavano sulla la pelle come una carezza, o un tocco confortante che le restituiva serenità.

   «Ricorda...me...» mormorò ancora il compagno di sventure.

   «Dove ci troviamo?»

   Ma lo sconosciuto tacque, senza che lei potesse comprenderne il motivo. E nessun'altra risposta pervenne con lo scorrere del tempo.

   Cassandra iniziò a innervosirsi, così lasciò perdere l'approccio all'estraneo per concentrarsi sul buco nero dentro cui era stata gettata senza ritegno.

   Le ombre erano il maggior ostacolo, tralasciando il silenzio spettrale nelle vicinanze.

   In mezzo a quel nulla misterioso, si chiese cosa c'entrassero i genitori nel progetto di quella farsa. E perché sua madre aveva deciso di segregarla nel luogo peggiore sulla Terra, al buio, al freddo e in compagnia di un folle?

   «...Cass...»

   Lo sconosciuto era caparbio, questo doveva ammetterlo. Era convinta che non avrebbe demorso fin quando non avesse ottenuto ciò che desiderava.

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