12.

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Tornammo a casa, la nostra casa.
Per un po', sembrò andare tutto bene, ormai eravamo una coppia di fatto, non eravamo mai l'uno senza l'altro, era come una dipendenza reciproca e mi piaceva dannatamente tanto. Poi di nuovo, di nuovo un malore, ma questa volta Daniel non ebbe la forza di reagire, cadde a terra come un albero morto, dopo che il vento lo aveva spinto troppo.
Provai panico per l'ennesima volta, ma in quel momento, non potevo permettermi di stare fermo, di rimanere in disparte ad osservare, dovevo agire, dovevo salvarlo.
Lo presi tra le braccia e tornai a casa di Luna, era nelle stesse condizioni, stava andando in overdose. Pensai, anche se non c'era il tempo di pensare, che non ero il solo ad essere un egoista, non ero il solo a desiderarlo più di qualsiasi altra cosa. Sarebbe andata avanti? Io non volevo. La odiavo. La odiavo perché non pensava a Daniel, non gliene fregava nulla. Se non poteva averlo lei, allora non l'avrebbe avuto nessuno, anche se gli fosse costato la vita.
Le toccai la fronte, poi lo stesso feci con Daniel, entrambi erano svenuti, ma ora stavano bene. In quel momento, sentivo nella mia mente il vuoto più totale. Dovevo lasciarlo andare? Non potevo vivere, con il terrore di averlo, rischiando di perderlo in ogni momento. Io... Lo amavo troppo per rischiare di perderlo. Lo amavo? Eppure... Non ci frequentavamo da tanto. La nostra, non era un'amicizia che c'era da tempo. Ma lo sentivo, sentivo che lui era nato per me, e io... Io vivevo per lui. Io vivevo grazie a lui.

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