Sono sulla strada buia, diretta a vecchia Yharnam. Sapevo la strada, l'avevo letta sui libri e papà me ne aveva parlato tanto. Lungo la strada mi costruii una torcia con un' asse di legno e della stoffa imbevuta di petrolio. La accesi e la strada si illuminò davanti a me.
Alcune belve avevano paura del fuoco e scappavano, l'uso di quella torcia mi avrebbe aiutato e mi faceva sentire un po' più sicura.
Sentivo il vento tra i capelli, di tanto in tanto l'ululato di qualche belva e il forte odore di sangue nell'aria.
Attraversai il cimitero. Faceva paura.
Non c'ero mai stata di notte e soprattutto non c'ero mai stata da sola. Mi misi a camminare a passo svelto arrivando davanti al grande portone di legno che una volta aperto mi avrebbe portato proprio al centro di vecchia Yharnam.
Sapevo che papà e Alfred erano lì e speravo fossero ancora vivi.
Spinsi la porta che si aprì cigolando.
Davanti a me vidi la grande piazza centrale in fiamme, papà e il suo compagno erano riusciti a portare a termine la missione ma non erano ritornati a casa. Erano rimasti a vecchia Yharnam perché? Da cosa ci volevano proteggere dando fuoco alla città e sigillandola?
Ormai la città era spacciata, c'erano solo belve.
Ero decisa ad esplorare la città alla ricerca sia di papà e Alfred sia di qualcuno ancora vivo. Mi avvicinai alla porta di ogni casa nella piazza e bussai, senza ottenere nessuna risposta. Attraversai il ponte che conduceva al resto della città e vidi una pila di corpi immersi nel fuoco. Mi avvicinai. Alcune erano belve ma altri corpi erano di persone non ancora trasformate, perché erano state bruciate anche loro. Perché papà aveva fatto questo a persone che potevano essere ancora salvate se non addirittura immuni.
Mentre osservavo la pila che bruciava, sentii qualcuno che gridava aiuto. Iniziai a correre verso quelle urla cercando di capire di chi fossero e da dove venissero. Arrivai davanti ad una casa e l'urlo si fece chiaro era la voce di un bambino.
Mi affacciai dalla porta e vidi due belve proprio all'ingresso che camminavano avanti e indietro come se stessero facendo una ronda. In silenzio cercai di entrare, nascondendomi dietro le cose in disordine nella casa.
Mi nascosi dietro un tavolo, mentre cercavo di avanzare verso il bambino che ancora gridava aiuto feci cadere dei libri che attirarono l'attenzione delle belve davanti a me che si avvicinavano.
Mi preparai ad ucciderle na sapevo che avrei fatto ancora più rumore attirando anche le altre. Cercai di pensare a qualcosa da fare più in fretta possibile, dovevo ucciderle ma dovevo farlo in silenzio, così provai a separarle.
Erano davvero enormi e diverse da quelle di Yharnam. Queste sembravano più simili a dei serpenti che a delle belve in sé. Avevano il collo allungato, non avevano peli come le altre, il loro volto era coperto da degli stracci e queste non avevano sicuramente paura del fuoco visto che ci abitavano dentro.
Mentre stavo per lanciare una bottiglia per dividerle una delle due perse interesse per me, uscendo dalla casa che da un lato era caduta a pezzi, probabilmente attirata da qualcosa più interessante, al contrario dell'altra che si avvicinava sempre di più al mio nascondiglio.
Quando fu molto vicina con un colpo di spada la feci cadere a terra ed ero stata abbastanza veloce da saltarle addosso e tagliarle la gola senza neanche farla gridare troppo.
Mentre mi stavo avvicinando alle altr due che stavano proprio davanti al bambino trasformai la spada e una volta dietro di loro, con un colpo le uccisi entrambe.
Il bambino si tappò gli occhi e le belve caddero a terra in una pozza di sangue. Ero soddisfatta di me stessa ero riuscita a salvare la vita di quel bambino che adesso si stava scoprendo gli occhi.
«Sono morte?» disse con la voce tremante.
«Si piccolino, sono morte! Stai bene?» gli dissi, cercando di calmarlo.
«Si sto bene, grazie. Sei un cacciatore?» disse guardandomi con i suoi occhioni azzurri.
«Si mi chiamo Diana. Vieni ti aiuto ad alzarti» dissi dandogli una manona tirarsi su.
«Mia sorella, devo salvare mia sorella!».
Era agitato. Mi prese per mano e cercò di trascinarmi fuori da quella che doveva essere casa sua.
«Ehi aspetta un attimo. Calmati! Spiegami cosa le è successo» gli domandai.
«Mia sorella Sarah. Un signore con il cappuccio l'ha presa e l'ha portata via» mi rispose quasi in lacrime.
«Tu come hai fatto a scappare?» dissi.
Lui mi guardò e iniziò a piangere.
«Io non sono scappato, mi sono nascosto e mentre la portava via non l'ho salvata!» singhiozzò.
Era spaventato. Sentivo di doverlo aiutare a trovare sua sorella.
«Bene piccolo. Cerca di stare tranquillo, sei con me adesso e ti prometto che troveremo tua sorella Sarah. Tu invece come ti chiami?» gli chiesi asciugando le sue lacrime.
«Mi chiamo Tom. Sarah ed io siamo gemelli» mi rispose. «I nostri genitori sono stati portati via da delle persone vestite di bianco e ci hanno detto di nasconderci e di restare nascosti in casa fino a che non sarebbero tornati!» continuò.
La Chiesa aveva preso i loro genitori, che ovviamente non erano più tornati. Non volevo dirgli cosa stava succedendo, non potevo dirgli che i suoi genitori erano probabilmente diventati belve o addirittura potevano essere già morti. Lo presi per mano e lo portai fuori.
«Sai dove possono aver portato tua sorella?» chiesi.
«Si forse alla chiesa in fondo alla città!» rispose.
«Bene Tom, stai accanto a me e non ti allontanare, sarai al sicuro con me» dissi tenendo la sua mano stretta.
Lui mi guardò e mi sorrise, ricambiai.
Gli dissi di indicarmi la strada della chiesa. C'erano belve ovunque in città. Ogni volta che trovavamo delle belve dicevo a Tom di nascondersi, non volevo che vedesse tutto quello che succedeva davanti a lui, era comunque un bambino. Ero diventata brava nell'uccidere le belve, ancora non capivo la differenza tra quelle di Yharnam e queste, erano diverse in ogni aspetto, c'erano ancora tante cose che ancora dovevo capire dell'essere una cacciatrice ma ero decisa a scoprire la verità e porre fine a tutto questo.
Una volta uccise le belve chiamai Tom che uscì dal suo nascondiglio, gli ripresi la mano e continuammo verso la chiesa.
Arrivammo davanti ad un edificio immenso e Tom si bloccò.
«Tom, ehi, che succede?» gli chiesi guardandolo.
«Diana, ho paura!» disse. «E se mia sorella fosse morta?».
«No Tom, sono sicura che sta bene. È forte come te!» dissi, cercando di rassicurarlo.
Mi guardò e riprese a camminare.
Entrammo nell'edificio. Era spaventoso dentro quanto fuori. C'era sangue ovunque, non avrei voluto che Tom vedesse tutto questo ma non potevo assolutamente lasciarlo fuori.
«Tom, ascoltami. So che hai paura e non stai capendo cosa sta succedendo ma ti prometto che non ti accadrà nulla e appena troveremo Sarah andremo via da qui. Adesso stai vicino a me e qualunque cosa succeda non lasciare la mia mano!».
«Si Diana, te lo prometto!» rispose.
Con Tom per mano e la spada già trasformata nell'altra pronta per uccidere chiunque mi avesse sbarrato la strada, scesi le scale all'interno dell'edificio arrivando davanti ad una stanza con al centro di essa un altare dove davanti ad esso c'erano un decina, se non di più di belve che pregavano o adoravano qualcosa. Mi nascosi con Tom dietro una parete tappandogli la bocca per la paura che potesse gridare.
«Tom, cerca di non fare rumore. Se ci sentono potrei non farcela da sola a batterle. Devo trovare un modo per uscire da qui senza che ci accada nulla ok?» gli dissi togliendogli la mano davanti la bocca. Lui non rispose ma annuì con la testa.
Mentre mi guardavo intorno per cercare un modo per uscire da lì senza farci ne vedere ne sentire, Tom mi tirò la casacca.
«Diana.... guarda» disse indicandomi il soffitto dell'edificio.
Alzai la testa e stavo per sentirmi male.
«Tom non guardare!» dissi.
Appesa ad un lampadario c'era una belva squartata e piena di sangue. Intorno ad essa c'erano delle gabbie con delle persone all'interno e degli assi di legno abbastanza larghi da poterci camminare sopra. Cercai un modo per arrivare lassù.
Presi Tom e tornai nel corridoio principale.
«Vieni Tom cerchiamo di andare lassù». Lui mi guardò spaventato. «È l'unico modo per uscire da qui senza farci vedere!» continuai.
Mi strinse la mano e capii che era d'accordo con me nonostante lo sguardo spaventato.
Trovai le scale che portavano in alto proprio dove volevo andare.
Salimmo le scale sperando di non fare rumore e quando arrivammo alla fine di esse ci trovammo sopra un terrazzino dove per arrivare agli assi di legno dovevamo probabilmente saltare. Cercai qualcosa per fare un piccolo ponticello e trovai delle assi.
«Tom aspettami qui!» gli dissi.
«Dove vai?» disse spaventato.
«Vado a prendere quell'asse per poter arrivare lì sopra. Tranquillo sono qui» gli risposi.
Andai a prendere l'asse e lo poggia tra il balcone e la strada fatta di assi.
«Vieni Tom» gli dissi dandoli la mano per farlo salire sul ponte che avevo creato con il pezzo di legno.
Tom salì e iniziò a camminare e si voltò a guardarmi.
«Con calma Tom e non guardare giù» gli dissi.
Tom arrivò dall'altra parte e io tirai un sospiro di sollievo.
«Vieni Diana! Non lasciarmi qui da solo!» mi disse con un filo di voce.
«Arrivo Tom, eccomi» dissi.
Montai sul cornicione e montai sull'asse di legno che si piegò sotto al mio peso. Iniziai a camminare più lentamente possibile, ad ogni mio passo l'asse scricchiolava. Stavo morendo di paura, se l'asse si spezzava sarei caduta nel vuoto e morta all'istante. Proprio mentre stavo arrivando dall'altra parte una belva arrivò sul balconcino vedendomi. Iniziò ad gridare e sotto di me ogni belva che pregava all'altare alzò lo sguardo; le aveva come richiamate a se come per avvisarle che c'erano degli intrusi. Continuai a guardare e a camminare per raggiungere Tom che gridava spaventato. Mancava così poco quando sentì l'asse di legno piegarsi e spezzarsi sotto i miei piedi. La belva aveva provato a salire per raggiungermi. Saltai e mi aggrappai ad una catena che pendeva dalla strada fatta di assi e guardai la belva cadere giù.
«Diana, dobbiamo scappare!» mi gridò Tom affacciandosi da sopra l'asse.
Mi divincolai e scalai la catena risalendo e arrivando proprio dove si trovava il bambino che mi abbracciò.
«Sono felice che stai bene» disse stringendomi forte.
«Anche io Tom ma adesso dobbiamo proprio andare» gli risposi ricambiando l'abbraccio.
Iniziammo a camminare sulle travi di legno in mezzo alle gabbie dove la maggior parte delle persone all'interno erano morte o alcune prive di sensi e probabilmente infette.
«Tom, non guardare e non parlare con le persone dentro le gabbie!» gli raccomandai.
«Ma Diana, cosa gli è successo a tutte queste persone!» mi chiese.
«Non ne sono sicura Tom. Andiamo dobbiamo proseguire!» dissi prendendogli nuovamente la mano.
Mentre stavamo camminando sulle travi quasi alla fine del percorso sentì una voce chiamarmi.
«Diana!».
Riconobbi quella voce: era Alfred.
Mi voltai e lo vidi chiuso dentro una gabbia.
«Alfred!» dissi camminando verso la sua gabbia.
«Diana dove andiamo? Tu mi hai detto che non devo parlare con le persone nelle gabbie!» disse Tom.
«Si Tom lo so, ma lui è come me, era con mio padre!» gli spiegai.
Arrivammo davanti alla gabbia ma Alfred non sembrava stare bene.
«Alfred che ti è successo, come sei finito qui!» gli domandai.
«Diana, sono felice di vedere che sei ancora viva, ma non dovresti essere qui. È pericoloso!» disse.
«Alfred cosa è successo? Dov'è papà?» gli chiesi.
«Non lo so! Mi hanno preso e mi hanno fatto una trasfusione con del sangue infetto! Sono malato Diana!» rispose.
«No! Non è possibile! Chi ti ha preso?» dissi.
«Non so chi sono erano incappucciati ma sono quasi certo che fossero cacciatori, quindi non fidarti di nessuno Diana!» disse guardandomi. «E questo piccolino chi è?» chiese osservando Tom che era nascosto dietro di me.
«Lui è Tom, hanno preso sua sorella e dobbiamo ritrovarla. Senti Alfred sono venuta fino qui per cercare aiuto dagli altri cacciatori rimasti!» risposi.
«Diana, no! Va via da qui e non fidarti di nessuno! Ti prego!» disse tossendo. «Mi sto trasformando e devi andartene! Tu non puoi essere infettata e ti stanno sicuramente cercando!» disse continuando a tossire.
«Che vuol dire Alfred? Cosa stai dicendo?» chiesi quasi preoccupata.
«Sei speciale Diana. Tu fermerai tutto questo e....». Prima che potesse finire la frase perse i sensi e io rimasi lì ad osservarlo senza capire neanche una parola di ciò che aveva detto.
Se mi stavano davvero cercando dovevo andarmene, ma avevo promesso a Tom di ritrovare Sarah. Non ero riuscita a dire ad Alfred che Carl era morto.
Troverò la sorellina di Tom e cercherò mio padre.
Guardai Tom e lo presi tra le mie braccia.
«Tom è pericoloso stare con me! Mi stanno cercando. Troveremo Sarah e vi porterò in un luogo sicuro!» gli dissi.
Tom annuì.
«Diana, dov'è tuo papà?» mi chiese una volta scesi dalle travi.
«Non ne ho idea Tom. Vieni andiamo a cercare Sarah!» dissi trascinandolo con me.
Una volta scese le scale che ci avrebbero portato fuori, le belve al piano di sotto erano ancora in subbuglio e ci stavano cercando, ma era sicuramente più facile ucciderle una per una se divise.
Ne uccisi una e poi un'altra e poi un'altra ancora fino a farmi strada verso l'uscita e ci ritrovammo nel giardino esterno che portava alla chiesa dove speravo di trovare Sarah e papà.
«Ecco, Diana, è questa la strada! Qui in fondo c'è la chiesa» disse Tom indicando la strada illuminata dalle pile di corpi che bruciavano. «Ho paura Diana!» continuò.
«Tranquillo Tom, sei con me. Andiamo!».
Tom mi strinse la mano come per farsi coraggio e ci incamminammo verso la chiesa.
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Cacciatrice
Fantasy«Devo finire quello che ha iniziato mio padre. Devo salvare la mia città dalla malattia. Nessuno può fermarmi. So quello che sono. Sono una cacciatrice» Tratto da un videogioco di nome "Bloodborne" ho deciso di riscrivere una mia versione della stor...