22. (Damiano)

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Scavalco l'ultimo gradino di marmo, aggiustando la falda del cappello che mi copre tre quarti della vista, e ripenso a quel buffone del meteorologo, che con la sua s sibilante e la cravatta larga sul collo aveva detto che sarebbe arrivato il gelo dalla Siberia.

A deficiente, sto a piá foco! Li mortacci tua e de chi nun t'o dice..

Slaccio il cappotto e do un'occhiata all'orologio che Vic mi ha consigliato di mettere per coprire il tatuaggio, quello con il cinturino di pelle che mi ha regalato il nonno, finendo per farmi ipnotizzare dalla mezza sigaretta che fuma tra l'indice e il medio. Penso che, forse, è meglio finirla prima di entrare.

Mi siedo con fare stanco, mentre l'aria frizzante mi solletica le caviglie scoperte e il sonno intorpidisce qualsiasi ansia da prestazione possa rapirm: ci sono io, il mozzicone che mi parla e il vento caldo di Marzo.

Butto via quello che rimane di un filtro annerito e slaccio anche il bottone che teneva chiusa la giacca.

Come me so conciato pe' te, Precisì..
È un mese che nun te vedo e vorrei solo mischiá 'a saliva a'a tua, picchiá i porpastrelli su'e cosce tue, fa scivolá le ciocche papavero tra'e dita..
"Ehi."
Alzo lo sguardo e mi sorride, bella come non lo è stata mai. Ha sistemato i capelli come piacciono a me, con due mazzi di ricci che pendono a fianco delle guance e la chioma fuoco legata all'insù, e ha truccato un poco il viso. La matita nera sugli occhi fa risaltare il verde prato delle iridi, che brilla pieno di rugiada, e il rossetto scarlatto mi fa gonfiare i pantaloni del completo.

"T'ho lasciata meno bella de così." le dico, abbassando la voce.

"E io con un vestito meno elegante." -mi toglie il cappello di dosso, appendendolo all'attaccapanni dietro di lei- "Sembri uno stalliere vestito da duca."

Faccio un passo avanti, rilassando la testa che gira sullo stipite laterale: meno di tre ore fa ero su un aereo diretto Roma Fiumicino, con la barba sfatta e i capelli sporchi di chi ha tolto un sogno dal cassetto e ci ha infilato un po' di ricordi e banconote che profumano d'arte.

"E tu sembri 'na rosa, Precisì. M'è mancato sto profumo dorce.."

Le carezzo la guancia e lei si accomoda sulla mano urlandomi in silenzio di spogliarla.

Mi macchio del suo rossetto, regalandole un bacio gentile che sa di noi: del mese passato, delle notti spese a pensarsi, delle lenzuola vuote che bruciano sopra la carne e delle seghe in bagno, delle urla delle ragazzine danesi sotto il palco, o delle videochiamate troppo corte. Della grana guadagnata, del profumo di gloria che sembra essersi polverizzato sopra Roma, del merda merda merda di Vic prima di ogni concerto, e un po' anche degli occhi della mamma e del sorriso del papá, dello sparlare dei prof e del ghigno soddisfatto del Grillo.

"E io? Te so mancato un po' o hai trovato 'n artro galletto che arza la cresta pe fasse bello all'occhi tua?"

Le pulisco il rossetto sbavato -labbra mie, colpevoli ladre!- muovendo il pollice che trema un po', quasi non creda di toccarla dopo tante aspettative.

"Mi stai dando della gallina?"

Sorrido sulle sue guance e spingo la porta fino a richiuderla, costringendo Beatrice ad arretrare contro il muro.

"Quanto só lontani i tuoi da qui?"

"Mamma é in cucina." -allunga il collo verso l'altra stanza- "Papá sta finendo di vestirsi."

Così la bacio, questa volta senza misure, togliendole qualsiasi dubbio le possa essere rimasto con un morso deciso al labbro superiore.

"Me farò perdoná st'assenza."

un bacio al tabacco. | måneskinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora