15 - Jackie ▪ Il segreto di Charles

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N/A : consiglio di rileggere il capitolo 11 per chi non ricordasse.

Mentre fissavo la porta di casa che mi separava da Charles, avevo gli occhi di Trevor inchiodati nella mente mentre mi guardavano scappare via dopo la telefonata della zia. Presi un bel respiro, abbassai lo sguardo sulle scarpe, erano impiastricciate come sempre dal fango. Infilai le chiavi nella serratura ed aprii, il giaccone marrone scuro del nonno era appeso al solito posto, vicino allo specchio. La sentivo nell'aria, tiepida e confortevole, era la presenza del nonno.

<< Jackie?>> sentii dalla cucina, lasciai cadere lo zaino a terra e corsi verso la sua voce. Dimenticai tutto il resto e gli saltai addosso, il nonno si alzò subito dalla sedia per prendermi. Ci abbracciammo forti, sentii il suo calore avvolgermi e nell'immediato mi sentii protetta.

<< Mi sei mancato Charles>>

<< Anche tu piccola >>

Il nonno mi accarezzava la testa dolcemente, sarei voluta rimanere in quel modo per sempre. Avrei fermato volentieri il tempo. Ma poi egoisticamente pensai a Trevor. Perchè anche in quel momento la mia mente doveva ricordarmi lui? La odiavo per questo.

Il nonno mi scese giù, pochi secondi dopo notai anche la presenza della zia, appoggiata a un bancone della cucina.

<< Dove sei stato? >> domandai stringendogli le mani, lo fissai un pò risentita.

<< Jackie ascolta...>> il nonno mi fece sedere << ci sono delle cose che ancora non posso dirti >>

<< Perchè? Sei sparito!>>

<< Lo so, mi dispiace. Le cose si sono messe diversamente da come avevo previsto. Ma ti dirò tutto a tempo dovuto. >>

<< Sono grande abbastanza per capire, penso di meritare una spiegazione. Avevi detto che tornavi, e invece...invece mi hai abbandonato anche tu >> lasciai le mani del nonno, e strinsi le mie forte, strofinandole sul jeans. Era un meccanismo automatico, lo facevo ogni volta che ero nervosa. Stavolta però ero anche tanto arrabbiata.

<< Jackie, guardami bene negli occhi. Io non ti abbandonerò mai. Hai capito? Mai. >>

<< Allora perchè non vuoi dirmi cosa succede?>> scattai in piedi infastidita.

Il nonno lanciò un'occhiata anche alla zia Sandra, che annuì. Che stava succedendo?

<< E va bene >> disse la zia che fino ad allora non aveva aperto bocca << al nonno è stato affidato un paziente, un pò particolare. E' per questo che è mancato>>

<< Il nonno è in pensione>> feci notare. Volevano forse prendermi in giro.

<< E' vero, sono in pensione, ma è una cosa diversa. Questo paziente chiede di te, Jackie. Questo è quello che ha chiesto prima di entrare in coma >> continuò il nonno.

<< Di me?>> chiesi basita.

<< Si. Ma non voglio che tu lo incontri >> la voce del nonno si rabbuiò, si alzò dalla sedia assumendo un atteggiamento duro.

<< Perchè non posso? >>

<< Perchè prima devo capirci qualcosa io. E poi al momento non è cosciente, incontrarlo non avrebbe senso >>

Erano le 05:30 del mattino, lavai veloce il viso e i denti, infilai la felpa FOREVER, i jeans puliti e il mio giubbotto oldschool, con lo zaino sulle spalle uscii in punta di piedi dalla porta di casa. Direzione Rock and Roll Hall of Frame,  portai con me anche il mappa-albe e raggiunsi tra una corsa e un'altra il  luogo dove fotografare la mia alba, la polaroid attaccata con un laccio al collo, penzolava come un orologio a pendolo. Il Rock and Roll Hall of Frame era una struttura moderna e geometrica, con una piramide di vetro che rifletteva ogni colore intorno, dietro l'immensa struttura si estendeva il mare. Trovai un punto perfetto per osservare l'alba, la fotografai proprio nel momento preciso in cui nasceva, con i raggi violacei che colpivano i vetri della piramide, sembrava l'aurora boreale. Era perfetto. Rimasi li ad osservarla, e mi domandai se quello sconosciuto avrebbe mai più visto un' alba.

Non tornai a casa, mi recai direttamente a scuola. Tutto mi sarei aspettata tranne che trovare un pesce marcio dentro l' armadietto, accompagnato da un biglietto "fai schifo". Il tutto fu decorato da risatine di studenti che camminavano nel corridoio osservando la scena.

Mentirei se vi dicessi che non mi importava proprio niente. Perchè anche se odiavo ammetterlo, mi faceva un pò male, ma non tanto da distruggermi, il motivo era che, ero convinta del fatto che le persone capaci di questi gesti, erano le prime a sentirsi "uno schifo". Forse dirlo ad altri le faceva sentire meglio, chi lo sa.

Pulii al meglio l'armadietto, poi andai in classe. Marlen mi lanciò un'occhiata indifferente quando andai a sedermi come da disposizione dei banchi al suo fianco. Non ci salutammo nemmeno, da un lato mi sentii sollevata che non mi parlasse, altrimenti avrebbe iniziato con le mille domande mattiniere, non amavo parlare di mattina, però contemporaneamente mi sembrava una cosa così strana, che mi fece sentire quasi in colpa. Il giorno prima ero stata cattiva.

Quando le lezioni finirono, trascinai lo zaino sulle spalle e senza guardare nessuno in faccia uscii. In quel momento avevo la testa piena di pensieri. Volevo scoprire chi era quell'uomo, e come faceva a conscermi. E poi c'era Trevor, ed era li, proprio di fronte a me. La solita giacca di pelle aperta davanti, le mani infilate dentro i jeans mentre sorrideva con dei ragazzi. Lo ignorai superandolo, qualcuno mi spinse, era Marissa, con si suoi capelli cotonati e un odore di vaniglia da ostruirti la trachea.

<< Sta attenta Schifezza!>> lo disse talmente forte che si girano quasi tutti. E in quel "quasi" ovviamente era compreso Trevor. Ci guardammo, poi abbassai subito lo sguardo e continuai a camminare dimenticando  le parole di Marissa. Salii in terrazza lontano da quei "cosi" e mangiai il mio pranzo osservando il cielo, respirai a pieni polmoni l'aria.

Solo venti minuti dopo mi accorsi di una cosa.

Qualcuno mi aveva chiuso sulla terrazza.

N/A

Buona domenica. Peace & Love



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