7 - Jackie ▪ POST-IT TENTATORE

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Le sue parole mi avevano riempito il cervello, aveva fatto di testa sua, lasciandomi il suo numero di cellulare, ma come dovevo farglielo capire che io e lui non avremmo mai avuto niente a che fare? che non saremmo mai stati amici? Non avevo bisogno di quei "cosi". Se c'era una cosa che avevo imparato era : le persone decidono che giudicare gli altri è giusto. E le conseguenze? Nessuno badava ad esse. Per caso qualcuno si preoccupava che le parole dette avrebbero influito sulla persona che si sentiva giudicata? No. Quei "cosi" le dicevano e basta. Perchè per loro era giusto. Ero perennemente giudicata per il mio modo di vestire, il mio carattere "strano". Non si nasce tutti uguali, ma per qualche strana ragione quando si cresce si diventa tutti uguali, e coloro che invece non rispecchiano i canoni di questa ugualità, vengono definiti "strani". Non ero strana. Semplicemente differivo di una sfumatura dal resto dell'umanità, ed è così che dovremmo essere tutti. Ero irripetibile. E volevo esserlo, solamente io, non una copia.

« Jackie, sei sveglia?» il nonno bussò alla porta aprendola silenziosamente. Mi scoprii appena gli occhi e feci cenno con il capo.

« Credevo fossì uscita come al solito. Arriverai tardi a scuola, se resti ancora sotto quell'ammasso di roba »

« Cinque minuti e scendo, Charles » mugugnai tra le coperte.

Il nonno si avvicinò al letto, piegandosi su di me « ti senti bene?» posò la mano sulla mia fronte emettendo un fischio nell'esatto momento in cui mi toccò «abbiamo una febbre da paura qua»

« CHE COSA?» scattai con un balzo a sedere. « Non è possibile. Non mi ammalo mai »

« Sembra di si invece.»

Sbuffai stendendomi nuovamente. Riflettendoci su non mi sentivo alla grande, avevo il corpo indolenzito, sembravo una vecchia.

«Questo è un problema» si grattò la barba bianca.

« E' solo febbre Charles»

«Ho un impegno oggi, non posso rimandarlo» sospirò infastidito.  «Misura la febbre, se dovesse essere sopra i 38, prendi una tachipirina, ti lascio le medicine sul comodino. Rientrerò stasera. Ah, inoltre, be avrei voluto dirtelo prima. Zia Sandra verrà a stare da noi questo weekend, arriverà oggi pomeriggio»

«La zia Sandra? Perchè viene?» mi allarmai. La zia Sandra era qualcosa di fastidiosamente antipatico. Non mi andava per niente a genio. Tentava sempre di diventare la mia amica del cuore, si impicciava delle mie cose senza pensare di sembrare invadente.

«Ne parleremo stasera. Non fare quella faccia» mi rimproverò.

«Lo sai che Zia Sandra, io...io...proprio non la sopporto» incrociai le braccia.

«Nemmeno io a volte. Ma abbiamo solo lei» fece spalluccie sorridendomi furbamente.

«Charles sei impossibile» ridacchiai.

Lui sorrise posando un bacio sulla mia fronte «Ci vediamo stasera. Fa la brava con la zia»

«Sono malata, cosa potrei mai fare?»

« Vomitarle addosso?»

« Charles non mettermi strane idee in testa» risi.

***

Nel momento stesso in cui aprii gli occhi, la testa divenne pesante talmente tanto da sembrare di avere un mattone poggiato sulla fronte. Ruotai gli occhi verso il comodino, la sveglia segnava le 14:30, mancavano esattamente ancora 5 h prima che zia Sandra arrivasse a Cleveland in Ohio, e io non stavo per niente bene. Misurai la febbre con fatica, aveva raggiunto i 39.6 gradi. Riuscivo a malapena a tenere gli occhi aperti. Ero sola e non sapevo cosa fare. Con grande difficoltà ingoiai la pillola con un sorso d'acqua che il nonno mi aveva lasciato sopra il comodino in caso di bisogno. Ero un fuoco, bruciavo ovunque. Avevo bisogno d'aiuto. Il panico mi pervase, mi veniva da piangere. Era terribile stare così male ed essere soli. Aprii il cassetto del comodino, allungando un braccio con fatica, presi il cellulare rinchiuso dentro, andando su rubrica. Gli unici numeri erano quelli del nonno e il mio che non ricordavo a memoria. Chiamare il nonno non aveva senso, era lontano, sarebbe tornato in serata, e non volevo si preoccupasse. Alzai gli occhi al soffitto mentre una lacrima caldissima scese come lava sulla mia guancia. Il post-it era appeso di lato a una delle polaroid sul muro sopra la spalliera del letto. No. Non potevo chiamarlo. Anche se si trattava di un emergenza. Fissai quel post-it per circa 10 minuti, finchè la mia testa non arrivò al limite, e il corpo ero pronto ad abbandonarmi. Prima ancora di decidere, lo avevo fatto, digitai il numero, nella speranza che almeno la voce avesse ancora la forza di uscirmi dalla bocca.

«Pronto»

« Sono...Jackie. Puoi...ven...da me. Sto...st-o...m-ale»

«Arrivo!» disse velocemente, riattaccò senza neanche darmi il tempo di dire altro, no che riuscissi a parlare ancora per molto.

Non passarono 10 minuti, che sentii suonare il campanello. Mi alzai dal letto strisciando la coperta a terra, presi le mie chiavi abbandonate sulla scrivania, aprii la finestra e le lanciai nella sua direzione, sperando le notasse. Poi mi rintanai velocemente sotto il mio piumone.

«Devo entrare con una mascherina?» fu la prima cosa che disse quando mise piede dentro la mia camera.

«Non pensavo.... saresti venuto.... sul serio» mormorai.
«E io non credevo mi avresti mai chiamato. Okay, il tuo viso fa abbastanza schifo. Hai preso già qualcosa?»

«Grazie per.... il complimento» tossii. « Si. Ma non sta funzionando ancora, la febbre è molto alta....» mi bloccai per riprendere fiato« Prendi...prendi... un panno bagnato con acqua fredda, una bacinella piena d'acqua, e...e... porta tutto qua. Trovi tutto in bagno»

«D'accordo.»

Ci impiegò meno di un minuto, tornò con le mani strapiene di roba.

« E' abbastanza freddo? »domandò quando poggiò il panno umido sulla mia fronte, ebbi un secondo di sollievo, ma durò poco. Ero così calda che lo sentivo a malapena.

« E' caldo » mormorai.

« L'acqua è gelida » notò.

Sospirai affannata, ero stanca. Non c'è la facevo più.

« Trevor?»

Sentivo il corpo andare in fiamme, era tutto un caos nella mia testa.

« Si Jackie?»

« Spogliami. Per favore» sussurrai.

N/A
Ciao :) non vi lascerò a lungo così, domani pubblicherò il nuovo capitolo con la voce di Trevor.

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