Le verità occulte

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Armando guardava la distesa bianca che si dimenava nel cortile della sua camera, Alessandra la udiva canticchiare in bagno mentre faceva la doccia, gli venne spontaneo guardare l'orologio: le nove del mattino. 

Di solito a quell'ora era già nel suo studio in centro a osservare la borsa e quanto di meglio si potesse ricavare da alcuni investimenti. Suo padre si aggirava nel palazzo con tutte le sue direttive per evitare la catastrofe neve: lo sentiva distintamente con il suo tono da comando che gli aveva sempre urtato i nervi. 

Fece qualche passo indietro dall'enorme vetrata e si voltò di scatto, diretto verso il camino osservò la legna deposta che mostrava alcune chiazze bianche e gelide. Un evento insolito la neve da quelle parti e, in parte, avvertiva un certo benessere nel vedere sua moglie così alle stelle per questa situazione. 

Era curioso che non  l'avesse mai vista, pensò e un lieve sorriso, quasi impercettibile, prese vita sull'angolino delle sue labbra, gli occhi si posarono a sinistra inquadrando la cornice che lo ritraeva con la madre: il suo volto riprese l'apatico stile di sempre nel vederla. 

Era un peso enorme che si portava dietro, qualcosa che lo faceva stare male, specie la notte, quando il suo inconscio gli giocava la brutta sorpresa degli incubi. Che poi era sempre lo stesso filmato, da anni e anni, una parte di un film onirico che aveva visto e rivisto, ma non per questo meno doloroso e angoscioso delle prime volte. 

Ripensò al cambiamento che aveva intrapreso quella notte, come quel consueto incubo si fosse trasformato: non vedeva più sua madre morta, ma Alessandra, seppur a gettarsi dalla Torre era sempre la Caterina a cui lo avevano strappato con la forza. 

Che senso aveva quel cambiamento? Se lo domandava dalla notte stessa in cui si era manifestato. Non poteva neanche parlarne con qualcuno, che avesse gli attacchi di panico e soffrisse d'insonnia, associata agli incubi, era un segreto tutto suo. Neanche il fido Paolo, servo fedele e amico leale, ne era al corrente. 

Alessandra uscì dal bagno con indosso l'accappatoio, aveva ormai assunto l'aria della padroncina di quelle mura e aveva molto meno pudore da mostrare nei confronti di Armando. Si mise seduta sul bordo del letto e, strofinando i capelli con l'asciugamano, non poté fare a meno di guardarlo. 

"Tutto bene Armando?", gli domandò con voce dolce. 

"Abbastanza, a parte questa neve che mi impedisce di andare a lavorare,il resto rientra nella norma di sempre", era bravo a mentire e a nascondere,entrambe le cose erano stati cardini saldi dell'educazione che gli aveva imposto il padre. 

"E' inutile, immagino, chiederti come mai hai quelle cicatrici sulla schiena, vero?", cercò di persuaderlo a parlare. 

"Potrebbe non esserlo, se solo non fossi interessata a sapere chi sia stato, senza neanche capirne il perchè", gli rispose con tutta la sua solita calma apatica. 

Alessandra percepii lo spiraglio in cui infilarsi e incalzò con decisione:

"Ok, allora sentiamo: perchè ti hanno trattato in quel modo così barbaro?". 

Armando puntò le pupille verdi sulla moglie e rispose:

"Perchè se impari a controllare il dolore, puoi controllare tutto quello che senti.  Il dolore fisico è la sensazione più difficile da nascondere, da occultare alla vista degli altri. Se impari a tenerlo nascosto, anche quando è forte, allora riesci a nascondere qualsiasi altra sensazione che il tuo corpo,o la tua mente, avverte. Smetti di essere umano, come diresti tu e mio nonno, inizi a essere un cyborg, su questo avevi ragione nelle nostre prime litigate". 

Alessandra rimase colpita, non solo dalle parole che aveva udito, ma dal tono distaccato con cui Armando le aveva pronunciate. Era impressionante come riuscisse a parlare di sé come se parlasse di un estraneo. 

La Rosa dei Nove FatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora