Padre e Figlio

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Alle prime luci dell'alba c'era già un gran movimento tra le mura del palazzo Kadosh: la servitù si muoveva indaffarata tra l'apparecchiare gli ultimi tavoli per il pranzo nuziale e il sistemare, pulire e rimontare i vari tendaggi. Dalle cucine, poste nel seminterrato, proveniva un flagore di stoviglie misto al buon odore di pietanze messe a cuocere. Vassoi d'argento riempivano i tavoli e aspettavano solo di essere farciti con il cibo da servire.

Alvaro Kadosh si guardava intorno con aria di disappunto e sbuffava come un treno a vapore dalla rabbia. Proprio non riusciva a capire come Armando avesse potuto organizzare un matrimonio in grande stile come quello, con ogni dettaglio ben curato, in finale stava per sposare una ragazza che valeva molto di meno di quanto valesse lui. Oltrettutto, Armando aveva osato disubbidire ai suoi ordini, il che rendeva quel giorno tutto, tranne che un giorno di festa per Alvaro.

"Mi hai fatto chiamare padre?". Armando entrò nello studio di Alvaro con indosso già l'abito delle nozze,

"Sì, Armando, volevo parlarti. In questi giorni ci siamo visti poco e non ho avuto occasione di restare solo con te". Accennò al figlio di entrare e accomodarsi.

Armando fece qualche passo in avanti, ma preferì rimanere in piedi. Aveva fretta, di lì a poco si sarebbe sposato e voleva controllare, di persona, che tutte le sue disposizioni fossero state rispettate.

"Dimmi pure padre".

"Aspetto questo giorno da trent'anni Armando, eppure...- portò il nero profondo dei suoi occhi verso il volto del figlio, mostrando tutto il carico del severo giudizio che stava per dire - mi ritrovo infelice e deluso. Soprattutto da te, Armando. Mi hai profondamente deluso. Come hai potuto? Me lo domando dal giorno della scelta e cerco, credimi, cerco di trovare una risposta plausibile che giustifichi il tuo folle gesto, ma per quanto mi sforzi non riesco a trovarla. Perchè non hai fatto come ti avevo detto?".

Armando seguì con le pupille i movimenti del padre rimanendo in silenzio e Alvaro si sentì autorizzato a continuare la sua predica.

"Dovevi avvalerti della facoltà di scegliere tu la tua sposa. La nostra famiglia siede al primo gradino della Rosa, era un privilegio che è concesso solo a chi vi siede. Dovevi scegliere e fare un nome: Elisabetta Koll. E invece che hai fatto? Hai messo il tuo futuro nelle mani di uno stupido sorteggio, permettendo così a una misera e insignificante Lewis di entrare a far parte di una delle famiglie più potenti. Sei un Kadosh e avrai accanto una ragazzetta goffa e imbarazzante, che non sa stare al suo posto, che non sa stare zitta quando deve, che proviene da una famiglia, benestante sì, ma che ha in mano bruscolini e briciole rispetto a te! Come hai potuto mancarmi di rispetto in quel modo? E come hai potuto gettare così in basso il nome della nostra famiglia? Come hai potuto Armando?". I decibel del Kadosh si liberarono nell'aria facendo alzare i volti di tutta la servitù intenta nei ritocchi finali.

Di fronte, alla rabbia esplosa in suo padre, Armando non mostrò il minimo cedimento, o timore. Era come se fosse sordo, o come se quelle parole non lo riguardassero. Nessuna piega anomala ripercorreva il suo volto, era rimasto impassibile.

"Vuoi davvero saperlo padre e, soprattutto, vuoi che io sia sincero veramente?". Si limitò a rispondere contrapponendo, alla rabbia del padre, il suo tono di voce pagato e sicuro.

"Non vedo cosa potresti inventarti per giustificare un tale atto folle e senza senso". Replicò Alvaro.

"Non devo inventarmi nulla, mi basta dire la verità: ho troppo rispetto per mia madre...- fece una breve pausa spostando il suo sguardo dritto negli occhi del padre - per sposare la figlia dell'amante di mio padre". Alvaro Kadosh fece un passo indietro dallo stupore: come diavolo lo ha scoperto? Si domandò subito dopo.

"Tua madre era una spostata, una squilibrata, con tanto di certificato psichiatrico che lo dichiarava. Era già un miracolo che fosse riuscita a metterti al mondo". Cercò la prima giustificazione che gli sembrò plausibile.

"Mia madre non me la ricordo bene, ma per quel poco che ne ho memoria, era ben lontana dall'essere una pazza. Ora sei tu che stai inventando per scagionarti dalle tue colpe, visto che tu e la signora Koll siete amanti dalla notte dei tempi, da ancor prima che mia madre morisse. Per quanto mi riguarda, per come vedo io le cose, quest'ultimo tassello è più importante di un certificato che mi hai sempre sventolato davanti, padre. Ora ti starai chiedendo come faccio a saperlo, ma l'unica cosa che ti è lecita sapere...è che tu hai i tuoi metodi e io i miei. Un'ultima cosa e ci tengo a dirtela: tra un paio d'ore sarò sposato e poco mi importa di quello che pensi della mia futura moglie, dato che diventerò un patriarca Kadosh e questo mi renderà, finalmente, indipendente da te e dal tuo dominio economico. Io avrò la mia famiglia e il mio patrimonio da gestire, non avrò più niente che mi lega a te tra un paio d'ore. Ricordati questo piuttosto: non osare sfidarmi, non intrometterti nella mia vita più di tanto, perchè potresti pentirtene...attento padre, perchè i conti, prima o poi, si pagano e il tuo rischia di essere un bel po' alto, perchè come so di te ed Esmeralda, so anche altro che ti riguarda". Malgrado la durezza delle parole Armando aveva mantenuto un livello di voce tranquillo, il che lasciò addosso ad Alvaro un senso di impotenza immane.

Era straordinario come suo figlio riuscisse a dominare le sue emozioni fino a farle sparire del tutto, ma era anche terrificante il senso di sicurezza che tutto questo lasciava intravedere. Cosa sapeva Armando oltre quello che aveva dichiarato? Era una domanda che lo avrebbe tormentato per molto tempo e a cui avrebbe trovato, man mano, la risposta.

"Non ho finito Armando, dove stai andando?". Cercò di fermarlo quando lo vide girarsi intento ad andarsene.

"Spiacente padre, non ho tempo, e né voglia, di continuare la conversazione. Tra un po' mi sposo e voglio che sia tutto in ordine. Non ho tempo di gingillarmi in questi discorsi che rischiano di essere, oltre che noiosi, anche senza fine. Perchè effettivamente ci sarebbe tanto da dire, ma non è né il tempo e né il momento per farlo. Lo faremo, forse, più avanti. Buona giornata padre".

Così dicendo si congedò dalla stanza lasciandosi alle spalle una breve risatina proveniente dal corridoio. Alvaro si portò alla porta e vide suo padre che sorrideva.

"Cosa ti fa tanto ridere vecchio pazzo?". Gli domandò portandosi dietro ancora uno strascico di rabbia nella voce.

"Beh, non ho potuto fare a meno di sentire, visto i decibel della tua voce. Come hai detto all'esordio? Ah sì, aspetto questo giorno da trent'anni...eh anch'io sai? Ma non parlo del matrimonio di Armando, che sicuramente per me e tua madre è un lieto evento, ma di quando te lo saresti ritrovato contro. Hai fatto i conti senza l'oste, o meglio, senza le ragioni del tempo Alvaro. Cosa pensavi eh, che Armando sarebbe sempre stato a tua disposizione? Non hai mai avuto il dubbio che, una volta grande, si sarebbe ribellato alle tue decisioni? Bene, oggi hai finalmente capito che tuo figlio non è più il bambino a cui puoi raccontare frottole per farlo stare buono...è diventato un uomo e fossi in te seguirei il suo consiglio; lascialo stare".

Michele Kadosh non aveva mai approvato i modi di Alvaro, né aveva mai condiviso la rigida istruzione ed educazione che aveva impartito ad Armando in tutti quegli anni, Tanto meno aveva digerito la morte di Caterina, la solitudine di suo nipote e come suo figlio lo aveva plasmato durante la crescita. Quell'atto di ribellione, però, gli lasciava una luce accesa sulla speranza. Forse quel matrimonio era veramente un segno del fato, di sicuro, e di questo ne era certo, a palazzo Kadosh le cose stavano per cambiare. Il matrimonio, e l'arrivo di Alessandra, potevano essere quello tsunami che da tempo aspettava: perchè per ricostruire qualcosa, rendendolo più solido e senza crepe, bisognava ricominciare proprio dalle macerie. Quel palazzo era diventato, sotto il dominio di Alvaro, una specie di catacomba e loro ne erano i cadaveri che vi vivevano. Ricchi zombie che aspettavano solo il sorgere e il calar del sole, persi nella monotonia della giornata e nel via vai dei ricevimenti. Non c'era più nulla di autentico e vivo da poter respirare, Michele sentiva puzza di muffa e putrefazione ovunque si girasse. E come lui anche sua moglie. Avevano sempre sperato di poter salvare Armando da questo grigio squallore spacciato per lusso. Alessandra Lewis, quella ragazzetta un po' paffutella, era energica e ribelle al punto giusto e mostrava una vitalità vivace come lo zampillare dell'acqua di una fontana. Sì, lei poteva salvarlo Armando da quel lento e silenzioso morire dentro. Michele e Amanda ne erano convinti.

La Rosa dei Nove FatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora