Quel noi da qualche parte...

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Alessandra si risvegliò nel pieno della mattinata, ormai per metà trascorsa, con il sole che le accarezzava le caviglie fuori dal lenzuolo e con un cuscino stretto tra le mani, su cui aveva appoggiato la testa per tutta la notte.  Rimase immobile con gli occhi aperti a fissare le ciocche rosse che si distendevano sul cuscino bianco, sopirò e profondando il volto sul guanciale cercò di odorare quella stoffa. Un odore pungente, ma famigliare, le inondò le narici e con il sentirlo avvertì quella strana sensazione in gola che annuncia un pianto imminente. La sua natura tenace la fece reagire con forza: si alzò seduta e scostò il cuscino e nel mettersi in piedi, indossando le ciabatte, intonò a gran voce:

"Vai al diavolo, tu e quella tonnellata di gel che ti metti sui capelli". Si portò subito dopo al centro della stanza e guardandosi intorno avventurò le mani tra i capelli rossi:

"Calma eh, devo restare calma. Niente allarmismi, niente scenate e soprattutto niente lacrime!", prese la vestaglia e si diresse in bagno, convinta che una sana e fresca doccia le potesse togliere di dosso quella sensazione assurda che provava. 

Aprì l'acqua e si lasciò coccolare dal fiume tiepido che incominciò a scorrerle addosso. Ben presto però notò che l'acqua non sortiva l'effetto desiderato: il chiodo fisso rimaneva puntellato nella sua materia grigia e non voleva proprio saperne di staccarsi da lì. Portò le mani addosso alle maioliche della doccia:

"Ma che diavolo mi succede? Mi sento così triste...", la risposta a quella domanda la conosceva bene, ma preferì ignorarla: era, infatti, assai orgogliosa per poterlo ammettere a sé stessa.   

Uscì dal bagno con l'accappatoio ancora addosso, i suoi occhi scuri puntarono ogni angolo della stanza e in ogni punto ci vedeva Armando. Lo vide seduto sul letto, intento a togliersi le scarpe; lo vide appoggiare i suoi averi sul comò; lo vide sistemare i suoi abiti sull'uomo morto di fianco all'armadio; lo vide seduto davanti al camino, intento a fumarsi un sigaretta; lo vide davanti al finestrone, con lo sguardo rivolto verso il giardino, mentre assaporava uno sei suoi amati sigari; lo vide sdraiato sul letto mentre dormiva; di botto gli occhi si posarono sul suo cuscino, buttato alla rinfusa, un attimo prima, sul letto. Si sentì in colpa e una forza irresistibile la fece andare verso il letto. Prese il cuscino di Armando, lo sistemò bene dentro la federa e lo appoggiò al suo posto. Rimase a guardarlo impietrita e solo il rumore della porta che si apriva, la destò da tale contemplazione passiva. Si voltò per vedere chi fosse e il nocciola dell'iride inquadrò Paolo che entrò nella stanza. Si sentì privata di qualcosa e inveii contro di lui:

"Che ci fai qui? Non ti ho fatto chiamare, tanto meno ti ho chiamato, o cercato. Armando non c'è quindi cosa diavolo voi da me?", la sua impulsività aveva preso il sopravvento in modo incontrollato. 

Paolo, conoscendo l'indole della signora Kadosh ed essendo a conoscenza della quasi totale nottata in bianco che aveva passato la sua signora, preferì rimanere calmo.

"L'ho sentita che si aggirava nella stanza ed essendo ormai le dieci e mezza, ho pensato che la signora volesse fare una mini colazione, uno spuntino, in finale signora avete saltato la colazione delle sette. A tale proposito, signora, se posso permettermi, le consiglierei vivamente di rimanere nelle sue stanze, almeno fino alle undici. Il signor Alvaro, questa mattina, era proprio di pessimo umore e l'assenza vostra, e della signora Amanda, a colazione, lo ha mandato in collera. Per fortuna il signor Michele ha preso in mano la situazione e lo ha messo a tacere, ma questo purtroppo non ci esonera dalla sua ira che incombe. Intorno alle undici, il signor Alvaro, si reca sempre in ufficio, quindi non correrà il rischio di incontrarlo in giro per il palazzo". Rispose Paolo tutto d'un fiato e puntando gli occhi sulla sua giovane signora. 

"Di pessimo umore, ma davvero? Che novità! Quello è sempre di pessimo umore, sarebbe strano se non lo fosse...e poi, signore...sì, come no, altro che signore, quello è un autentico stronzo, altro che signore. E' colpa sua se Armando è ricoverato in clinica, sua e di quella serpe che gli sta sempre accanto e poi è colpa anche di quella svergognata, presuntuosa, viziata di Elisabetta! E' colpa loro e della loro scarsa, pressoché inesistente, umanità!". Quasi urlò nel girare intorno a Paolo per dirigersi verso il camino. 

La Rosa dei Nove FatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora