●Prologo●

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La sveglia. Le sette. No, non ce la facevo proprio ad affrontare un altro giorno che sembrava il copia incolla di tutti quelli precedenti. Mi alzavo, pronta psicologicamente solo per metà per incontrare tutte quelle facce che vedevo in un solo giorno. Eh si. Molti volti. Tutti con qualche piccola differenza, tutti illusi di essere speciali. Spalancavo la finestra (come tutte le mattine), aprivo la porta (come ogni giornata rispettabile) e andavo di sotto, per mangiare un pancake e uscire di casa dopo essermi vestita e truccata per essere almeno presentabile. Si. La mia vita era alquanto normale. Ma oggi mi sentivo più diversa del solito. Scesi le scale, scivolando sul corrimano di metallo, e mi ritrovai di fronte a tre porte, come ogni giornata. Mi mettevo a ridere spesso, pensando a quelle tre porte che sembravano capitare lì per sbaglio. Mi infilai in una di queste (quella che porta alla cucina) e attaccai la spina della radio, che partì in quarta con un singolo di Eminem. Mi misi a cantare a squarciagola parole a caso, svegliando mia sorella Katy e i miei. Scesero di sotto tutti e tre, e cominciarono ad urlarmi contro, ma io di tutta risposta alzai il volume della radio. Mia madre mi preparava il pancake, mia sorella mi rompeva le scatole attorcigliandomi i capelli sulla sedia di legno grezzo e mio padre faceva strane conversazioni con se stesso (convinto che lo stessimo ascoltando) e parlando di come secondo lui il mondo era cambiato inesorabilmente. Mangiai in fretta e furia il pancake abbrustolito con uno strato di burro e marmellata e diedi un bacio pieno di briciole sulla guancia di mia madre, salutai mio padre e feci la linguaccia a mia sorella. Era un giorno speciale, me lo sentivo, ma non sapevo perchè.
Arraffai dalla mia scrivania bianca lo zaino di jeans e mi incamminai saltellando per tutto il corridoio, canticchiando un tormentone di chissà quanti anni fa. Mentre uscivo dalla porta di casa, sentivo sempre il solito rumore di piatti rotti. Questa mattina non successe nulla, però. Il silenzio mi inquietò per un attimo. Mi chiedevo repentinamente se non era stato tutto un pò strano. Mi incamminai verso la stazione del bus e salii sul primo autobus disponibile che mi portasse al bar vicino alla scuola. Quando scendevo da quel mezzo pubblico, di solito sentivo il frastuono di tutti quegli studenti radunati intorno ai cancalli della suola o davanti al bar, ma quel giorno niente. Niente di niente. Non c'erano rumori forti, nè un odore insopportabile di fumo di sigaretta, nè il rumore di mille studenti che camminavano per il cortile in attesa del suono delle campanelle. Non so perchè, ma mi sentivo maledettamente incompleta. Cominciai perfino a contare le persone: una, due, tre, quattro, cinque....arrivai verso le cento e mi fermai di scatto vedendo il gruppetto di ragazze della mia classe, così diverse da me (così oche) che mi venne voglia di urlare. Non capivo perchè ero così turbata da tutto. Non capivo perchè stavo armeggiando con i laccetti della borsa da tutta la mattina, e non capivo neppure perchè ero così maledettamente stanca. Tirai un sospiro di sollievo, quando vidi la porta spalancata del bar, dalla quale usciva un profumo di caffè talmente forte da far morire chiunque di acquolina. Mi incamminai. Ogni passo sentivo mille rumori diversi dai soliti. Quasi fossi in un sogno e possedessi il dono dell'ipersensibilità.

"Tesoro, sei speciale.
Amore, sei fantastica.
Chris, sei diversa.
Chris, stai tranquilla. Finchè sono con te, niente ti cambierà."

Queste frasi mi tornavano alla mente ogni qualvolta mi sentivo strana, o incompresa. Adoravo sentire il soffio di quelle parole, dentro la mia pelle, come un'iniezione di amore.

"Tranquilla, ti proteggo io.
Non temere.
Essere diversi è un dono, non qualcosa di cui vergognarsi.
Amati così come sei, che sei bellissima.
Sono qui."

Ora basta. Me lo dicevo ogni qualvolta esagerassi, magari con frasi che volevo sentirmi dire, ma che non mi aveva mai rivolto nessuno. Volevo così tanto che qualcuno mi assicurasse fosse tutto normale. Tutto quello che provavo era assurdo a volte. Volevo solo una conferma. A volte riuscivo a dire agli altri queste frasi, forse per pena, perchè non erano mai state rivolte a me. Sentivo che oggi sarebbe stato il giorno buono. Il giorno in cui tutto sarebbe cambiato. Forse solo per me.

Intanto ero arrivata alla caffetteria. Una ragazza dai capelli corvini con delle extension color porpora e il mento aguzzo, mi chiese cosa volessi ordinare. -Un cappuccino, per favore. - Eh già. I miei mi avevano educata bene. Non conoscevo nessuno così educato. O almeno non qualcuno che dicesse "per favore" o "grazie" per ogni cosa. A volte mi davo fastidio da sola. A volte pensavo che quell'atteggiamento fosse quasi per attirare l'attenzione. O meglio, quando mi guardano male perchè sono cortese, non mi pare di essere cattiva. Anzi. Ma poi ripensandoci penso che magari,ma solo magari, lo faccio perchè voglio essere una sorta di...persona speciale? Che, anche in un periodo dove le nuove generazioni sputano solo imprecazioni e bestemmie, rimango indietro ai tempi in cui per essere all'altezza di qualcuno si doveva inchinarsi? No...non credo. Fatto sta che tutti mi evitano per qualcosa. Qualcosa che loro sanno e io no. Oddio come sono paranoica. Intanto la cameriera (ho scoperto, leggendo il cartellino, che si chiama Mary) era arrivata al tavolo porgendomi un piattino con appoggiata una tazzina dal manico nero in equilibro precario. Tutto questi per spiegarvi brevemente, la mia vita. Sveglia. Pancake. Stranezze inventate. Caffè. Scuola. Caffè. Casa. Studio. Caffè. E qualche pranzo e cena intermedi. Si. Una bella palla. Ma non si può avere tutto nella vita. Oramai, o vai bene a scuola, o piaci alla gente. Non c'è un intermedio. A noi la scelta. O meglio, non fraintendete ho qualche amico, ma non sono molto "popolare", per così dire. Presi il giornale dal mobiletto di legno rosa vicino al bancone e mescolai lo zucchero nella tazzina.

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