Tuffo nel passato

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Ermal stava tamburellando le dita sul volante, in attesa. Erano solo le otto di mattina. Solitamente sarebbe uscito di casa mezz'ora più tardi per andare in studio, ma non quel giorno. Un semplice messaggio la sera precedente gli aveva sconvolto tutti i piani, così si era trovato a dover dare la giornata libera ai suoi musicisti e ad aspettare quell'aereo da Roma che ancora non si decideva ad arrivare, chiuso nella macchina della Mescal. Non aveva intenzione di scendere: non era esattamente al suo meglio e non voleva rischiare di trovarsi a rispondere male a qualche fan, se mai fosse stato riconosciuto, solo perché si era svegliato con la luna storta.

Guardò l'orologio dell'auto e sospirò.

Mancavano ancora cinque minuti all'orario previsto per l'arrivo e per sua fortuna era improbabile che un aereo ritardasse.

Sbuffò, mentre allungava una mano ad accendere la radio. Trafficò con le varie frequenze fino a trovare una stazione di suo gusto.

Solo cinque minuti, si ripeté nella mente. Odiava aspettare, eppure si ostinava ad arrivare perennemente in anticipo.

Un leggero tremolio contro la gamba gli notificò l'arrivo di un messaggio, che scoprì essere di Marco. Sorrise leggermente alla sua preoccupazione, raramente gli diceva di non presentarsi in studio, e si affrettò a rispondergli per tranquillizzarlo.

Rimise a posto il suo cellulare, adocchiando di nuovo l'orario. Quell'attesa estenuante era arrivata a termine, l'aereo doveva essere atterrato. Pregò Dio che fosse davvero così, mentre si accendeva una sigaretta, la prima della giornata.

Il suo cellulare vibrò di nuovo e lui rispose senza neanche curarsi di vedere chi lo stesse chiamando. Del resto chi poteva essere se non Montanari?

«Pronto?»

«Ermal.» la voce del collega lo raggiunse come un pugno in pieno stomaco. «So' Fabrizio.»

«Sei arrivato?» gli chiese e istintivamente iniziò a guardarsi intorno, come a controllare se fosse lì intorno. Quando non lo vide tornò a guardare di fronte.

«Sì. Dove sei?»

«Sono fuori, non volevo essere riconosciuto.» spiegò. Sentì l'altro fare un verso d'assenso, così si affrettò ad aggiungere «Ti aspetto davanti all'auto. È una Citroën, modello berlina.»

«Va bene.» gli rispose l'altro, prima di chiudere la comunicazione, senza neanche salutare.

Scese dall'auto e si appoggiò alla portiera. Vide Fabrizio relativamente subito: era l'unico che in quella mattinata nuvolosa portava gli occhiali da sole. L'osservò uscire dall'edificio, con una mano trascinava la piccola la valigia, l'altra teneva stretta la custodia della chitarra che portava in spalle.

Alzò una mano per farsi notare, ma inutilmente. Il romano lo aveva già adocchiato, infatti lo vide subito abbozzare un sorriso.

«Ermal.» lo salutò appena lo raggiunse.

«Fabrizio.» ricambiò l'albanese. Si staccò dalla macchina, mentre buttava a terra la sigaretta ormai consumata, e fece il giro, per trovarsi davanti al cofano. Lo aprì.

Fabrizio gli porse il trolley, che sistemò velocemente, poi lo guardò curioso.

«La chitarra?» gli chiese.

L'altro scosse con veemenza la testa.

«No.»

Ermal non protestò: sapeva per esperienza che i musicisti avevano vezzi strani.

Tra le luci di Roma | MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora