Bari

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Ermal non aveva letto subito quella risposta, troppo impegnato con il suo firmacopie a Bari. Solo verso l'una e mezza, quando tutto era finito, si era potuto permettere il lusso di accendere il telefono.

L'aria fredda della notte sferzava il volto, coperto dalla sciarpa di Bizio, ma non bastò a placare il calore che si sparse per il corpo non appena si rese conto di avere una notifica dell'uomo.

Sorrise davanti a quelle tre parole, prima che il suo cuore saltasse un battito.

Siamo sotto lo stesso cielo, Piccolè. Lo so che non basta a far passare la mancanza, ma almeno i nostri cuori guardano le stesse stelle.

[17/01/2019 22:33]

«I nostri cuori guardano le stesse stelle.» ripeté ad alta voce, quasi incredulo.

Erano sue parole, quelle. Le aveva scritte spesso a Fabrizio quando scendeva a Roma per partecipare ad Amici e non poteva vederlo. Leggerle gli fermò, per un solo secondo, il respiro.

Subito si guardò intorno, nell'irrazionale speranza di vederlo nascosto in qualche macchina, appoggiato a qualche colonna.

Quando capì di essersi illuso, le sue gambe si mossero da sole, pronte a percorrere tutta la città alla sua ricerca. E lo avrebbe fatto davvero, se Marco non gli avesse bloccato un polso, sul volto un piccolo sorriso.

«É in hotel.» gli disse e con un po' di forza lo trascinò in macchina, ma, quando lo vide andare verso il posto del guidatore, si rifiutò di farlo sedere al volante. Ci teneva alla sua vita, lui. Il suo cantante forse un po' meno.

Arrivarono in albergo venti minuti dopo ed Ermal scattò subito verso la sua camera, senza quasi neanche salutare il ragazzo alla reception, per fermarsi subito dopo davanti la porta, esitante.

In realtà, dentro di lui c'erano sentimenti contrastanti. Da un lato temeva che potesse essere solo uno scherzo, dall'altro sapeva che Fabrizio non lo avrebbe mai deluso senza un motivo valido. Così, dopo aver preso un bel respiro, l'aprì.

Il romano era lì, girato di tre quarti verso la finestra, il vento che gli scompigliava i capelli, una sigaretta spenta tra le dita.

Era bellissimo.

«Fabrì.»

L'uomo si voltò all'istante, aprendosi in un enorme sorriso.

«Piccolè.» lo salutò di rimando.

Rimasero fermi per un secondo, come per confermare alla loro mente di essere entrambi lì, reali, tangibili.

Sembrava passata una vita da quando si erano lasciati, forse perché non si erano sentiti, perché non sapevano cosa ci sarebbe stato dopo o forse perché erano stati lontani per così tanto tempo che anche un giorno di distanza, distanza vera e non solo chilometri, ormai li uccideva.

Poi, come se le loro anime si fossero messe d'accordo, si incontrarono a metà strada, pronti a perdersi in un abbraccio. Si strinsero come fosse la prima volta e anche l'ultima, come se fosse l'unica cosa che gli potesse permettere di respirare. Forse lo era davvero.

«Mi dispiace.»

Lo dissero insieme, ognuno affondato nel collo dell'altro.

Scoppiarono a ridere come ragazzini, prima che Fabrizio prendesse la sua mano e lo portasse a sedersi sul letto.

«Non hai nulla di cui dispiacerti, Piccolè.» sorrise il romano, triste, ma allo stesso tempo felice di essere di nuovo con lui. «É solo colpa mia.»

Tra le luci di Roma | MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora