Lisbona

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Lisbona era splendida: maestosa, luminosa, bellissima. Ma sotto quel sole, che non penetrava nell'edificio, c'era qualcosa di più bello e puntava dritto verso di lui, sotto l'obiettivo attento di una telecamera.

Lui se n'era fregato ampiamente e lo aveva abbracciato stretto, quasi non si vedessero da anni. Aveva circondato il suo collo, dove aveva incastrato il volto per nascondersi dalla vista del resto, mentre l'altro aveva posato le mani sui suoi fianchi, tirandolo più stretto. Sapeva che quel video sarebbe finito online: tutti lo avrebbero visto e avrebbero parlato ancora della loro possibile relazione segreta, ma a lui non poteva interessare di meno, così come non si curava dei colpi di tosse per mascherare l'imbarazzo o le piccole smorfie che i loro accompagnatori non riuscivano a frenare.

Quel giorno si era preso una paura assurda: l'aereo di Ermal aveva fatto un ritardo osceno e nessuno aveva avuto la geniale idea di avvertirlo, così si era ritrovato all'orario stabilito che l'albanese non era arrivato e un principio di panico che si espandeva nel suo petto.

Vederlo arrivare era stato come tornare a respirare da una lunga apnea. Stringerlo era stato come tornare a vivere.

Ed effettivamente, la sua vita senza Ermal era diventata un po' più difficile. Quando erano lontani la sua mente correva sempre alle sue labbra, al suo sapore. Ormai non riusciva neanche a guardare negli occhi Giada, tanto si sentiva in colpa. Eppure, questo non era bastato a farli smettere. Avevano continuato a vedersi il più possibile, sfruttando ogni momento libero e ogni singola scusa, soltanto per potersi toccare una volta in più, baciarsi.

Avevano usato ogni minuto a loro disposizione, senza fretta, per dare al più piccolo il tempo di abituarsi a tutto quello, ma non si erano bastati mai.

Ignorò chi gli diceva di smetterla con i saluti perché dovevano muoversi che avevano fretta e si strinse ancora di più al corpo dell'albanese. Gli era mancato troppo per lasciarlo andare così presto. Non si vedevano da Assago e anche lì il loro tempo era stato estremamente limitato: avrebbero voluto rinchiudersi nel loro mondo, ma ovviamente non era stato possibile. Anzi, era stato anche più doloroso del solito. Non solo non riuscivano a trovare un secondo per loro, ma aveva anche dovuto sopportare Silvia perennemente in mezzo.

Sapeva di non poter fare il geloso: lui ed Ermal non erano niente, eppure non riusciva a non odiare il modo in cui lei si strusciava su di lui, come cercava le sue labbra, come gli si avvinghiava addosso senza lasciarlo andare. Aveva comunque avuto la sua vittoria quando lei gli aveva sfiorato i capelli per accarezzarli e lui era saltato all'indietro, aveva guardato terrorizzato Fabrizio, prima di fulminarla.

Lei gli aveva chiesto cosa gli fosse preso e lui aveva risposto che non voleva essere toccato i capelli e che lei lo sapeva. Lei a malincuore aveva annuito, e già qui voleva chiederle perché lo avesse fatto comunque, ma si morse la lingua e rimase in ascolto, poi però gli aveva fatto notare che non aveva mai reagito in quel modo brusco. Ermal, in maniera molto delicata, le aveva risposto che erano cazzi i suoi il modo in cui reagiva. Per questo il romano aveva cercato di toccare il meno possibile i suoi capelli, almeno davanti agli altri, per rifarsi quando gli rubava qualche bacio. Ma, alla fine, quello era il massimo che si erano concessi.

Eppure, nonostante non avessero concluso nulla, ancora, in quel mese si erano entrambi resi conto che stavano provando emozioni mai provate, che quello che avevano era qualcosa che nella loro vita non c'era mai stato.

Spesso avevano pensato di aver amato profondamente, ma si erano resi conti che così non era stato. Quello che c'era tra loro lo dimostrava. Anche per questo avevano deciso di andarci piano, non era un gioco, non era più una semplice attrazione. Era molto di più.

Tra le luci di Roma | MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora