È mio

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La prima volta non lo aveva nemmeno guardato. Suo cognato era venuto a prenderla al pub, perché la sua macchina era rotta e, nel momento in cui le stava presentando suo cugino, era entrato il suo ragazzo, che non vedeva da due settimane.

Gli era corsa incontro e lui l'aveva abbracciata, stringendola forte. Disse qualcosa che la fece sorridere e tornarono in là.

"Tuo cugino?", chiese spaesata la ragazza.

"Doveva andare a prendere la ragazza", lei arrossì.

"Sono stata davvero maleducata, mi dispiace!", disse arrossendo colpevole.

"Non ti preoccupare, mi aveva solo accompagnato, la ragazza lavora qui vicino", sorrise rassicurante.

"Che vergogna, non l'ho nemmeno guardato in faccia", Paolo sorrise indulgente, Morena aveva un carattere decisamente esplosivo.

Al contrario, Gabriele l'aveva guardata. L'aveva guardata bene. Lunghi capelli neri legati in una crocchia scomposta, occhi verdi e brillanti ed un sorriso luminoso. Era rimasto folgorato dal cambiamento di luce nei suoi occhi, quando aveva visto il suo ragazzo, Il suo cuore si era fermato. Avrebbe dato oro perché quel sorriso fosse rivolto a lui.

Si riscosse. Era fidanzato, santo cielo, a cosa pensava? Attirò l'attenzione del cugino e, non senza dare un'ultima occhiata alla ragazza, se ne andò.

"Dovevi tornare domani", sorrise Morena a Victor.

"Sorpresa", alzò le spalle Victor con un mezzo sorriso.

"Allora suppongo di poter andare, tornate insieme, no?", disse sorridendo, ma Victor lo guardò imbarazzato.

"Veramente, io dovrei andare a casa, domattina ho lezione molto presto", Morena si accigliò.

"Non puoi dormire da me come sempre?".

"Mi distrarresti troppo, amore", disse sorridendo, ma Morena colse la falsità nella sua voce. Tuttavia, sorrise a sua volta.

"Va bene, chiamami ok?", gli fece una carezza sul viso e lui si irrigidì impercettibilmente.

Annuì e le lasciò un bacio a fior di labbra, salutando Paolo ed uscendo senza voltarsi indietro. I due si guardarono.

"Mi ha tradito", mormorò Morena con gli occhi lucidi. Paolo tentennò.

"Non dire così, magari è stanco del viaggio", disse non credendoci nemmeno lui.

"Paolo, per favore", roteò gli occhi al cielo Morena "non prendiamoci per i fondelli".

Lui sospirò.

"Va bene, qualcosa non va".

"Non va che mi ha tradito!", sbottò Morena. Paolo abbassò lo sguardo, lo pensava anche lui.

"Parlaci", sospirò.

Lei lo guardò triste e poggiò il mento sul bancone.

"Lo farò, sì", mormorò "portami a casa, Paolo, per favore", lui le circondò le spalle baciandole la tempia.

I giorni seguenti, Morena tentò inutilmente di contattare Victor, ma lui non rispondeva né ai messaggi, né alle telefonate.

"Brutto stronzo", borbottò fra i denti "quando ti trovo, lo vedi".

Ma Victor era introvabile.

Letteralmente. Era tornata a casa e le sue cose erano sparite. Aveva provato all'università, ma niente Victor, i suoi amici facevano muro. Sparito.

Dopo un mese, lo aveva mandato mentalmente a quel paese.

Dopo tre mesi, se la rideva alle sue spalle. L'aveva tradita sì, ma la tipa era rimasta incinta e lui se la era dovuta sposare.

Ops.

Morena aveva ripreso i soliti ritmi lavorativi, dormendo praticamente niente.

"Domani sera usciamo a festeggiare il mio compleanno!", disse entusiasta Paolo.

"Sono distrutta, Paolo", disse Morena, piagnucolando.

"Sei la mia migliore amica, è da quando avevo quindici anni che festeggiamo il mio compleanno insieme! Devi venire!", disse gesticolando imbronciato.

"Quanto sei melodrammatico", sospirò esasperata "verrò a cena strisciando, contento?", lo fissai torva "dove andiamo?".

"Al nostro ristorante preferito!", cinguettò entusiasta sua sorella Sara, mentre lui faceva un sorrisino soddisfatto.

Il pomeriggio seguente, Sara si presentò a casa, vanificando ogni suo tentativo di fuga. Morena tenne il broncio tutto il tempo, poi si arrese e si vestì, sempre borbottando senza sosta.

Arrivarono in perfetto orario e, dopo aver salutato gli amici ed aver chiacchierato un po' fuori dal ristorante, entrarono e si misero a sedere. Sara era accanto a lei e stavano già ridacchiando, commentando tutti gli avventori.

Accanto a Paolo, invece, un posto vuoto. Morena lo fissò confusa.

"Dovrebbe arrivare mio cugino", spiegò Paolo.

"Bene! Almeno, mi scuso e mi presento", sorrise Morena.

"Eccomi, scusa il ritardo, sai come sono fatto!", Morena si raddrizzò sulla sedia. Il cuore aveva perso un battito ed aveva sentito come una morsa allo stomaco.

Sei impazzita? È una voce – si chiese confusa

La voce si mise a sedere accanto a Paolo e, senza sapere per quale motivo, Morena fissò intensamente il suo piatto, non volendo incontrare gli occhi del proprietario.

Poi respirò a fondo, riprendendo il controllo di sé, e alzò lo sguardo lentamente.

"Sono Gabriele", tese la mano il ragazzo.

Lei lo guardò, sperando che il suo viso non rispecchiasse le sue sensazioni.

Era convinta di aver sgranato gli occhi, perché li sentiva più grandi, era sicura di star trattenendo il respiro e di aver serrato le labbra, incapacitata a parlare, non riuscendo ad afferrare i suoi stessi pensieri.

Lo guardò in silenzio.

Gli occhi erano di un verde brillante e vivace, aveva un sorriso gentile e luminoso e lunghi capelli ricci.

Ma non fu quello.

Non fu niente, in realtà.

Fu lui.

Sentì l'improvvisa voglia di scappare e nascondersi. Di nascondersi a quello sguardo, che la fece sentire esposta come non si era mai sentita. Impacciata come non era mai stata. Qualcosa esplose dentro di lei, improvvisa, rendendola incapace di pensare lucidamente.

"Morena", soffiò, senza però stringergli la mano. Non credeva di poterlo fare senza impazzire. Non voleva toccarlo, non poteva toccarlo. Sapeva che nel momento in cui lo avesse fatto, tutto sarebbe stato spazzato via, in primis le sue facoltà mentali.

Lui al contrario, sentiva il bisogno fisico di toccarla, di sentire quella stretta di mano mancata, di vedere quel sorriso. Voleva quel sorriso per sé, quel sorriso che sapeva di poter ottenere, perché ora non era ancora di nessuno.

Perciò tese ancora di più la mano. Lei la fissò, incerta, poi sospirò e la strinse. Fu inaspettato, improvviso. Tutto sembrò tornare al suo posto e, guardandolo stupita, gli sorrise.

Altrettanto fece lui, sollevato, perché lo aveva voluto dal primo momento.

È mio – pensò felice Gabriele – il suo sorriso è mio.

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