Il morso di Giuda

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Ero da sempre.

Non ricordavo il momento della mia nascita. Ricordavo, però, tutta la mia vita.

Avevo sospirato, vedendo la pochezza degli uomini, facili a distruggere qualsiasi cosa non comprendessero.

Avevo riso della loro stupidità, convinti che ingannevoli superstizioni, fossero invece divine realtà.

Avevo condiviso la pena di coloro che avevano lottato per la verità, avversati dai loro simili, che temevano il progresso e le sue conseguenze.

Avevo protetto molti di loro, ne avevo uccisi altri. Senza interessarmene realmente.

Fino a lei.

Morena.

Occhi verdi come la foresta, labbra sempre piegate in un accenno di sorriso. Senza paura.

Paura di me.

Era ferma lì, il viso rivolto al cielo, carezzato dalla pioggia, gli occhi chiusi. La fissai e sentii, improvviso, il desiderio del sangue.

Mi avvicinai lentamente.

"Non ti vedo, ma so che ci sei", sussurrò, facendomi fermare, lei continuò ad offrire il viso alle carezze del cielo "so che vieni qui. Ti ho cercato per tanto tempo, sai?".

Ancora tacqui. Abbassò lentamente il viso, si girò aprendo gli occhi, facendomi tremare l'anima. Quegli occhi trasmettevano la forza selvaggia della vita, offuscata dalla morte implacabile che le attraversava il corpo.

"Il mio nome è Morena", disse, conscia che non le avrei risposto "il mio corpo mi sta abbandonando. Ho tentato, davvero, di vincere sulla morte, ma si vede che gioca a scacchi meglio di me".

Dopo qualche secondo, scoppiò a ridere. La risata della malattia, che ha vinto sulla vita.

"Ho bisogno che tu mi salvi la vita", disse seria.

"Gli umani non sono pronti all'eternità".

"No. Non lo sono. I morti, però, sì", disse avvicinandosi senza timore, prendendomi la mano, posandola sulla sua fronte, mostrandomi quello che non riusciva a parole.

Fui travolto. Dalla sua mente, dalla sua vita, dalla sua morte. Da Morena. Sentii la sua fame, come fosse la mia.

Mai un'umana mi aveva trasmesso tanto.

Morena aveva ragione. Lei era morta. Senza di me, era morta.

Pensai 'al diavolo, sono stato troppo solo e troppo a lungo'.

"Morena, devi offrirti", le porsi la mano.

"Mi sono già offerta", sorrise maliziosa, lasciando che prendessi la sua vita insieme alla sua morte.

Quando, la mattina dopo sfarfallò gli occhi, svegliandosi, mi avvicinai, porgendole una sacca di sangue. La prima sete era la peggiore.

Avvicinò le mani tremanti.

"Piano", istruii.

Lei annuì e, una volta sazia, si lasciò ricadere sul letto.

Presto scoprii che Morena aveva fame non solo di sangue, aveva fame di sapere. Ed io potevo darglielo e lo feci.

La amavo, era mia. Io ero suo.

Fu così per secoli. Eravamo felici. Avevamo tutto.

Ma non era abbastanza. La fame di Morena divenne insaziabile. Voleva nutrirsi di tutto.

Anche di me.

Creò una propria famiglia, credendomene all'oscuro.

Per quanto improvviso, l'attacco non mi colse impreparato. D'altro canto, io ero l'Immortale.

Lo scontro fu nondimeno sanguinoso e ci furono perdite da entrambe la parti e, forse, la perdita maggiore fu la mia. Che avevo assaggiato il vero frutto proibito. Il suo bacio. Il suo morso.

Il morso di Giuda.

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