Ritorno a casa - Contest Cappellaio Matto

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Non era tanto il fatto di non trovarli più. Era il fatto di averli persi. Anzi...era il fatto che lo avessero perso!

Tirò su con il naso, rifiutandosi ancora di piangere. Era grande, lui. Ed i suoi genitori lo avevano perso! Aveva ragione lui, non era colpa sua, era colpa dei suoi genitori! Lui era un bambino, santo cielo! Grande, certo, ma pur sempre un bambino.

Erano ad un Luna Park. Suo padre avrebbe dovuto giocare con lui e sua madre avrebbe dovuto comprargli dei dolci, o degli hot dog, insomma...qualche schifezza, giusto?

Lo sapeva ora, perché lui glielo aveva spiegato.

Quanto si era disperato? Quanto aveva vagato? Quante volte si era maledetto per aver seguito quel giocoliere? Santo cielo, come se fosse stata davvero colpa sua! Era un Luna Park! I bambini erano lì per divertirsi e non preoccuparsi di niente! I genitori, ecco! Loro dovevano occuparsi del resto.

Loro dovevano occuparsi dei loro figli, loro dovevano preoccuparsi delle cose serie e lasciare i bambini a fare i bambini! Se solo i suoi genitori avessero conosciuto lui, probabilmente tutto questo non sarebbe successo.

Probabilmente avrebbero fatto in modo di stare attenti, di capire che un figlio è una benedizione del Signore, che ogni figlio è un tesoro da custodire e che ogni bambino è un principe da istruire.

Invece quei due sciocchi dei miei genitori mi avevano buttato via, come se non valessi niente, come se non avessero bisogno di me, come se ogni giorno si potesse trovare un bambino come me! Ah, ma lui invece aveva capito subito che ero speciale! Sì!

Avevamo cercato i miei per ore. Ore! Purtroppo, non eravamo riusciti a trovarli. Lui aveva anche parlato con qualche poliziotto, ma tutto ciò che aveva scoperto è che stavano cercando una bambina che si era persa.

I suoi genitori la stavano cercando, mentre i miei nemmeno si erano accorti di avermi perso!

Sentii gli occhi pizzicare ed una sensazione nel petto che non seppi definire; fu come se qualcuno mi avesse strappato il cuore e al suo posto avesse messo un tizzone ardente. Bruciava, ma allo stesso tempo sembrava che quel dolore fosse di qualcun altro.

Lui sospirò, guardandosi intorno, poi mi fece una carezza sulla testa.

"Hai fame?", mi chiese. Tirai su con il naso, stavolta le lacrime proruppero mio malgrado, implacabili e silenziose. Era strano. Bruciavano sulla pelle, ma al tatto erano solo quello, lacrime.

Sospirò ancora e mosse veloce la mano. Quando la riaprì, al centro stava una meravigliosa rosa bianca. Mi strappò un mezzo sorriso. Scosse la mano e la rosa divenne un soffice fazzolettino.

"Ecco, non vorrai mica bagnare il cibo con le lacrime", disse sorridendo. Tirai su col naso, ma lui mi sventolò eloquente il fazzoletto davanti al viso. Ridacchiai, mio malgrado. Mi soffiai il naso, asciugandomi il viso alla meglio. Lui annuì esageratamente compiaciuto e mi tese la mano.

"Non ti perderò", disse ridacchiando malizioso. Sbuffai, fintamente offeso, ma seppi che era vero.

Erano passati ormai dieci anni da quel giorno.

I miei non mi avevano cercato, il Luna Park era rimasto ancora una settimana e lui mi aveva tenuto con sé, insegnandomi i suoi trucchi. Certo, inizialmente era stato difficile, le mani di un bambino sono piccole e goffe, ma con molto allenamento e sacrificio, il gesto era diventato fluido, familiare, spontaneo.

I primi tempi mi sono anche divertito a fare dispetti ai grandi. Lui diceva che era un po' un modo per vendicarsi dei miei genitori. Far sparire le cose, intendo. Che poi le cose fossero braccialetti, portafogli, orologi...beh, rendeva il tutto molto più divertente!

Mi ricordavo quando mio padre mi diceva di non toccare le sue cose, di quanto mi aveva colpito perché mi ero provato il suo orologio. Ebbene, ora ne avevo diversi da provare, tutti quelli che volevo! Certo, li potevamo tenere per poco, ma lui mi ci lasciava giocare, a patto che non li rompessi ed io ero molto attento.

Ovviamente, nel tempo le cose erano cambiate, ero diventato un bravo giocoliere, un ottimo illusionista e quindi mi esibivo per le strade del Luna Park. E aiutavo lui. Lo aiutavo a salvare i bambini come me, i bambini che i genitori perdevano, perché incuranti. Perché ignoranti, incapaci di capire il vero valore del proprio frutto.

"Ehi, quella rosa non è diversa da quella di prima?", disse un ragazzino con lo sguardo malizioso. Sorrisi.

"Dici?", chiesi beffardo.

"Dico, dico. Anzitutto è più piccola".

"Non è vero, è uguale", disse una bambina accanto a lui.

"Infatti, dacci un taglio, santo cielo!", lo rimbrottò un bambino poco più alto e magro, gli occhiali e l'apparecchio.

"Ma vi dico che è diversa! E oltretutto questa ha un bordo un po' piegato!".

"Sì, certo, come no", roteò gli occhi al cielo il bambino con gli occhiali "sei sempre il solito guastafeste", detto questo si girò, seguito dagli altri ragazzini.

"Ehi", lo richiamai. Il ragazzino mi fissò con astio.

"Cosa vuoi".

Scossi la mano e feci comparire una rosa nera. La scossi nuovamente e la rosa esplose in mille petali colorati.

"Avevi ragione tu", dissi furbo "non era la stessa rosa. Hai un occhio incredibile". Lui arrossì leggermente. Io lo guardai assottigliando gli occhi.

"I tuoi genitori devono essere molto orgogliosi di te". Lo vidi irrigidirsi. Proprio come pensavo, i bambini speciali sono quasi sempre incompresi "se vuoi ti accompagno da loro, saranno preoccupati".

Sbuffò sarcastico.

"Non si sono nemmeno accorti che sono uscito per venire al Luna Park". I suoi occhi si velarono di tristezza. Mi ricordai la sensazione di vuoto e calore. Sorrisi e tesi la mano. Lui si girò per cercare i suoi amici, ma non c'erano più.

"Non ti hanno aspettato", dissi dispiaciuto. Girò la testa di scatto, guardandomi smarrito, come se avessi scoperto un segreto scabroso.

"Loro...", tentò di giustificarli.

"Dai, ti do una mano a cercarli", dissi sorridendo. Mi guardò incerto, poi prese la mia mano. Sì, era un bambino speciale. A lui sarebbe piaciuto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 27, 2019 ⏰

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