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Jimin non chiuse occhio durante la notte, pensava e ripensava a cosa potesse fare per liberarla, a chi potesse essere stato a fare tale brutalità. Si rigirava continuamente l'anello della ragazza fra le mani, ricordandosi di quel giorno in cui ci fu un malinteso. 

Il mattino, con due occhiaie scure, senza nemmeno fare colazione, dopo essersi dato una sistemata, uscì di casa con l'anello in tasca e si diresse verso il posto in cui l'aveva vista per l'ultima volta.

Non c'erano più le auto nere, non c'erano più quelle ragazze, non c'erano più i lettini, non c'era più niente.

Dove me l'avete portata? Molto lontano da me?

Sul viso di Jimin scivolò una calda lacrima di tristezza mischiatosi alla rabbia.

Non aveva paura di essere da solo in quel luogo così scuro, cupo, solitario.
Doveva trovarla a tutti i costi.

Camminando per quel corridoio buio e illuminato da piccole lampadine, uno straccio attirò la sua attenzione. Entrò in quella stanza e lo afferrò.

Il tuo profumo...

Su di esso c'era il suo nome ed un numero, che non sapeva cosa stesse a significare.

Erano ragazze codificate o qualcosa del genere?

Girovagò per quella stanza e trovò alcune siringhe semivuote. Ne afferrò una con lo straccio e l'annusò: era un odore devastante, molto pesante. Gettò subito via quell'oggetto in vetro, rompendolo in mille pezzi.

Davvero ti hanno iniettato questa merda?

Jimin continuava a rigirarsi quello straccio fra le mani cercando di capire cosa stesse a significare quel numero.

Lo piegò accuratamente e lo infilò in tasca, uscì da quella stanza per l'aria troppo viziata e continuò a cercare nelle altre stanze.

C'erano delle maglie di piccole taglie su cui c'erano altri codici: alcuni identici a quelli di lei, altri totalmente diversi.

Mentre si concentrava a leggere ripetutamente quel numero, lo spaventò un colpo debole di tosse.

Si diresse verso quel suono e si ritrovò nella stanza precedente a quella in cui aveva trovato il primo straccio.

C'era una ragazza inzuppata di sudore, con l'intimo rovinato e con solo una camicia a coprirla.

Jimin controllò il codice ed era uno totalmente diverso da quelli che aveva trovato lui, ma uguale a quello che doveva essere di Anna.

Imprecò fra sè e sè cercando di richiamare l'attenzione della ragazza.
Ma quest'ultima faceva solo versi incomprensibili e allungava le mani come per attirare a sè Jimin.

Tu sai qualcosa, vero? Puoi aiutarmi, giusto? Anche la mia Anna è in queste condizioni adesso?

Quella ragazza si trovava in uno stato pietoso, fra la vita e la morte: con i capelli imperlati di sudore, gli occhi che non si fermavano per un attimo guardavano dappertutto in un posto indefinito, le pupille profonde dilatate, la pelle piena di segni rossi e violacei.

Jimin era sicuro che lei potesse aiutarlo a capire cosa stessero a significare quei codici.

La prese in braccio, attento a non farla cadere, e la posò delicatamente in macchina.

Resisti per favore.

Si diresse verso la casa del ragazzo con cui non voleva avere niente a che fare.

Bussò alla sua porta e ad aprirlo fu proprio lui con una faccia annoiata che, appena lo vide, alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

Stava per chiudergli la porta in faccia, quando Jimin bloccò la porta con il piede.

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