29 | L'unica cosa che conta

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(9 maggio 2018, Roma)

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Essere un giocatore della Juventus significava innanzitutto vincere.

Anche se sei sotto di due gol, o di dieci, anche se giochi con un uomo in meno. Anche se hai tutto lo stadio contro, anche se le gambe non riescono più a correre, anche se non c'è la testa che ti supporta, anche se sbagli un passaggio.

Alla Juve, devi vincere.

Non lo capisci se non ci sei dentro, se non sei parte della squadra o della famiglia.


"Vincere non è importante, è l'unica cosa che conta"

Qualcuno lì, sulla curva, aveva appeso quello striscione bianco, con la scritta rigorosamente nera e lui si era ritrovato a leggerlo, con lo sguardo limpido ma da killer -come l'aveva definito il Mister- e sentì l'odore dell'erba bagnata, qualche goccia che cadeva sulla pelle già bagnata e i cori dei loro tifosi.

Quante volte l'aveva sentita quella frase? Quante volte il Presidente l'aveva riportata a lui e a tutti gli altri? Anche il Mister la ripeteva spesso per incoraggiarli, ed altrettanto spesso quella frase se la ripeteva lui, in testa, milioni e milioni di volte.

Alla Juve vincere non è importante, è l'unica cosa che conta.

Quando scese in campo non pensò a niente e a nessuno, non c'era spazio nella sua mente. C'era solo la palla, la rete, la palla nella rete, la vittoria, la coppa.

Alla Juve, vincere non è importante è l'unica cosa che conta.

Quanta verità in una frase che era stata pronunciata anni prima, quanta fame riusciva a leggere nello sguardo di Douglas davanti a se, o di Medhi dietro di se.

Gigi l'aveva stretto in un abbraccio soffocante prima del fischio d'inizio, gli aveva detto "Tu sai".

E lo sapeva bene, lui, con il numero dieci sulle spalle e quell'adrenalina nelle vene che lo spingevano a dare sempre di più.

Cercò il goal disperatamente, anche dalla trequarti, ma non arrivò.

Non gli importava, nemmeno dopo il cambio, nemmeno dopo il boato.

Fu il primo a incitare i tifosi sugli spalti, poco prima della fine. Gonzalo era entrato al suo posto, il tabellone segnava uno schiacciante 4-0 e il Milan di Gattuso continuava a restare a terra, azzannato dalla furia bianconera, senza la possibilità di potersi rialzare.

Il triplice fischio arrivò anche prima del previsto.

Avevano vinto, tutto il resto, l'ansia, il sudore, la maglia sporca di fango, i falli che aveva subito, non contavano più.

Ancora, la frase, quella frase, ritornò a tormentarlo dolcemente.

Alla Juve, vincere non è importante è l'unica cosa che conta.

Lo sapeva bene, Paulo Dybala, il numero 10, La Joya.

Loro erano la Juventus e non li si poteva sconfiggere. Lo sapevano tutti, era un dato di fatto.

Lo sapeva il bambino rossonero che piangeva in curva, lo sapevano le dirigenze avversarie, i tifosi sul divano e quelli allo stadio.

𝕿𝖗𝖚𝖊 𝕮𝖔𝖑𝖔𝖗𝖘|| P.DDove le storie prendono vita. Scoprilo ora